Veltroni furioso per il no abbandona il vertice

Roma Sul suo capo pende ogni possibile sanzione prevista dal regolamento del Pd (richiamo orale, richiamo scritto, sospensione, espulsione; manca solo che si debba presentare accompagnato dai genitori), ma Riccardo Villari non pare granché scosso.
Neppure il lungo incontro di ieri con Walter Veltroni (ma c’erano anche il vicecapogruppo al Senato Luigi Zanda e il vice-segretario Dario Franceschini, che alle ultime elezioni mise in lista Villari nella «sua» quota, dopo l’allontanamento del senatore campano da Rutelli) ha incrinato le sue convinzioni. Sarà «ben lieto», dice, di dimettersi, come gli chiede il Pd, ma solo «quando si troverà un’altra soluzione condivisa» tra i poli. Fino ad allora, il neo presidente della Commissione di Vigilanza sente il «dovere istituzionale» di restare al posto nel quale è stato eletto, e di mettere in moto una commissione paralizzata da sei mesi. Il colloquio è stato lungo, teso e fondamentalmente inutile. Villari ha rinfacciato allo stato maggiore del suo partito di averlo «dipinto come un malfattore»; Veltroni si è così innervosito per la caparbia resistenza del senatore che si è alzato e se ne è andato, lasciandolo nelle mani di Franceschini e Zanda.
Oggi il coordinamento del Pd e poi il direttivo del gruppo discuteranno le possibili sanzioni al reprobo: sospenderlo, espellerlo? E da dove, dal partito, dal gruppo parlamentare, da entrambi? Non c’è accordo, par di capire: al Senato dicono che spetta al partito occuparsene; dal partito assicurano che è la sanzione del gruppo quella che conta. La patata bollente viene rimpallata di mano in mano, e comunque rinviata al termine delle “consultazioni” istituzionali di Villari medesimo con i presidenti delle Camere. Per altro, la riunione di oggi del direttivo del gruppo potrebbe essere la prima sede in cui emergono i tanti malumori che covano dentro il Pd per una conduzione dell’operazione che - ha fatto notare Massimo D’Alema - «si può discutere se sia stata accorta o meno». E per far venire alla luce i contestatori delle «sanzioni» a Villari.
Uscendo dal palazzo del Nazareno, Villari assicura serafico che però «un passo avanti» c’è, perché Veltroni avrebbe «chiaramente rappresentato l’esigenza di superare la candidatura di Leoluca Orlando». E che la candidatura di Orlando sia superata non c’è dubbio, visto che sul nome dell’esponente di Italia dei valori c’è da mesi il niet invalicabile della maggioranza. Che questo rappresenti un «passo avanti», però, è tutto da vedere. Veltroni infatti ha interpellato ieri Antonio Di Pietro, chiedendogli di dare una mano a sbloccare la situazione: «Siamo stati più che leali con te, votando compatti Orlando per quaranta sedute di seguito», gli ha ricordato, invitandolo a questo punto ad offrire una rosa di nomi Idv da proporre al Pdl se si riuscirà a riaprire una trattativa. La risposta dell’ex pm, a giudicare dal pessimismo che circolava ieri nel Pd, non deve essere stata incoraggiante. E per oggi Di Pietro ha convocato una conferenza stampa, senza sbilanciarsi sui contenuti. Franceschini ieri diffondeva ottimismo, assicurando che uno spiraglio potrebbe aprirsi; ma uno dei più fidati colonnelli dipietristi assicura che «non se ne parla proprio».
Se Di Pietro ufficializza il no e non offre «rose», spiega il veltroniano Giorgio Tonini, «il ciclo della difesa ad oltranza di Orlando dovrà chiudersi», e la rosa la offrirà il Pd medesimo. A chi, però? Il problema, infatti, è convincere il Pdl a riaprire una trattativa sulla Rai. L’opposizione si prepara ad usare «tutte le armi parlamentari a nostra disposizione», dice Tonini, rendendo difficile la vita della maggioranza nelle aule e disertando la Vigilanza, che ancora deve eleggere vicepresidenti e segretari.

E rendendo impossibile la nomina del presidente Rai (che deve avere il gradimento dei due terzi della commissione). Il Pd si augura che tanto basti ad allettare la maggioranza e spingerla ad un’intesa complessiva su Vigilanza e Cda. Togliendolo dal cul de sac in cui è finito.

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