da Roma
Pacatamente, serenamente, Walter Veltroni illustra il suo programma. E senza parere, senza quasi che l’ipnotizzata platea dell’assemblea costituente del Pd se ne renda ben conto, fa a polpette parole d’ordine e tabù di un quindicennio di centrosinistra anti-berlusconiano.
Certo lui Berlusconi non lo nomina mai, in 44 pagine, tanto da imbarcarsi in un complicato giro di parole quando gli tocca evocarlo, definendolo «il principale esponente dello schieramento nostro avversario». A farlo ci pensa D’Alema, che spara a zero pescando a piene mani da quel repertorio dell’antiberlusconismo d’antan che Veltroni vorrebbe tanto archiviare. Rievoca «le tante macerie» che il centrosinistra ha ereditato dal governo Cdl e «le molte gaffe e impegni non mantenuti» cui a lui è toccato porre rimedio in giro per il globo da ministro degli Esteri. «E spero - conclude sarcastico - che i leader stranieri, al prossimo G8 trovino ad accoglierli un leader contemporaneo e non un sito archeologico, per quanto tirato a lucido e restaurato».
Ma quella dalemiana è l’unica stecca in un coro che guarda «al futuro» e, come teorizza l’applauditissimo Fassino, vorrebbe lasciarsi Berlusconi «alle spalle». Le parole d’ordine di Veltroni sono altre: «meno tasse» per tutti, per esempio, in un Paese che il Pd vuole «più ricco» e quindi più felice. Anzi, «l’aumento della ricchezza del Paese è l’obiettivo principale del nostro programma», e la parola «ricchezza», un tempo sterco del demonio berlusconiano, non viene sdoganata a caso.
Così come non è un caso che il candidato premier del Pd scelga di aprire il suo intervento con le parole della figlia del maresciallo Pezzulo, che ne rievocano «l’orgoglio» di far parte dell’Esercito e di «mettere al servizio dello Stato e della patria la sua vita» nel lontano Afghanistan. Certo, c’è tutto il tipico pathos veltroniano in quella scelta, visto che non si ricorda un suo intervento di qualche rilievo privo della citazione di qualche illustre caduto o delle parole tra virgolette di qualche orfano o vedova, ma dietro l’estetica foscoliana intorno alle «urne de’forti» c’è anche un preciso messaggio politico. E un diretto attacco a quella Sinistra arcobaleno dai cui condizionamenti il suo Pd si è ormai liberato. E ci tiene a farlo vedere: «Lavorare per una soluzione politica non significa ritirare unilateralmente la nostra presenza militare», come chiedono Rifondazione & Co., facendo «un grave errore». Perché «il ripudio della guerra non ha nulla a che vedere con un’opzione neutralista o isolazionista». Parla da cinque minuti, Veltroni, e la prima discontinuità è già segnata, tanto che subito piovono le critiche da sinistra: «Temo che il Pd ormai punti solo sulla forza delle armi e sulla guerra», tuona il segretario Prc Giordano.
Ma è solo la prima delle pillole da inghiottire. Che, sia pur ben inzuccherate dalla melassa del «Mi fido di te» di Jovanotti e indorate dallo stile kermesse a stelle e strisce, fanno parlare la sinistra di «impressionante involuzione centrista del Pd», e fanno insorgere a destra Fini: «I punti programmatici di Veltroni, nella migliore delle ipotesi, sono la fotocopia di quello che il centrodestra propone».
Sono dodici, i punti del manifesto veltroniano, «senza dubbio molto più sintetico di 280 pagine», nota Goffredo Bettini, irridendo all’irrealizzabile programmone del governo Prodi.
Basta «ambientalismo del no» che «cavalca ogni protesta»: sì alle infrastrutture, alla Tav come ai termovalorizzatori e ai rigassificatori. Ma anche alle energie alternative «del sole e del vento», per arrivare alla «rottamazione del petrolio». Contenimento e riqualificazione della spesa pubblica, per «aumentarne la produttività» e per «fare quello che non è mai stato fatto: ridurre davvero le tasse ai contribuenti leali, che sono tanti» e per «rendere il fisco più amico dello sviluppo». Investimenti sul lavoro delle donne: crediti d’imposta rosa, congedi parentali, asili nido ovunque. Ma anche «difesa» chiara della legge sull’aborto. E ancora: affitti più facili, attraverso detrazioni fiscali e «grandi progetti di social housing». Dote fiscale per i nuovi nati, creazione di «100 nuovi campus» entro il 2010, salario minimo di 1.000 euro ai precari, ma anche «incentivi alle imprese. E poi «più sicurezza» e «certezza della pena», agenti «per le strade» ma anche «nuove tecnologie (WiFi e WiMax)» per «controllare il territorio». Legalità, trasparenza delle nomine e niente candidature per chi è stato condannato.
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