Gian Marco Chiocci e Daniele Petraroli
La «cura del ferro», sognata da Rutelli e immaginata da Veltroni, non guarisce i mali di Roma. Anzi. Il sindaco va predicando da anni il raddoppio dei trasporti su rotaia per risolvere i problemi del traffico e invogliare i cittadini a utilizzare i poco amati mezzi pubblici. E lo fa fantasticando su una metropoli del futuro che nulla ha a che fare con la drammatica realtà di tutti i giorni: «Il nostro schema - annuncia il 9 febbraio 2006 - prevede arterie che si raccordino con i nodi di scambio, parcheggi di scambio collegati con la ferrovia, che a sua volta trasporti i passeggeri nei vari punti della città, da cui si dirama poi il trasporto interno». Detta così sembra la città di Blade Runner. Ma per restare coi piedi per terra basterebbe farsi un giro su una delle tre ferrovie «ex-concesse» che collegano la Capitale con le zone periferiche.
Prendiamo la Roma-Viterbo: ogni giorno, spesso più volte al giorno, saltano le corse. Motivo? Mancano macchinisti e capi-treno, e quando se ne ammalano troppi, la tratta va puntualmente in tilt. I pendolari protestano, insultano il personale, occupano binari e bloccano i treni successivi se i vagoni si rivelano stracolmi. Il paradosso s’è raggiunto il 27 giugno scorso con la bellezza di 30 treni soppressi, anche se il record è stato sfiorato a luglio 2006 con la cancellazione di 50 corse. La sollevazione popolare è andata in scena pure sull’altra ex-concessa, la Roma-Pantano, ennesima perla d’inefficenza capitolina nota per i 18 attraversamenti a raso e i 30 semafori che la rendono impraticabile, che come al solito è rimasta in panne. Quattro ore di buio causa imprecisati «problemi sulla linea». Quel giorno, stanco degli attacchi, il sindaco-pompiere mostrò insolitamente i muscoli: «I disservizi sulla Roma-Viterbo sono intollerabili». Talmente intollerabili che un anno fa una rilevazione «Customer satisfaction» della società di trasporti comunale Me.Tro annunciava goffamente «la crescita del gradimento degli utenti» sulla tratta incriminata. Stranamente lo studio non fa cenno alle condizioni vergognose degli «interni», alla sporcizia tra i sedili, alla sicurezza a rischio e alle toilette, impraticabili.
C’è poi la Roma-Lido, il trenino che porta al mare di Ostia lungo una linea fatiscente che risale al Ventennio e sulla quale si cerca di far viaggiare sia i treni di ultima generazione, detti «Caf», sia i vagoni della Metro A, dai rumori sinistri e dall’assenza di aria condizionata, che sono stati riciclati, ridipinti e pomposamente ribattezzati «frecce del mare». Facile infierire anche qui per i disagi a catena.
L’ultimo fa ridere, ma avrebbe potuto far piangere parecchi utenti: il 2 luglio un treno è entrato in contromano alla stazione di Acilia e i dirigenti di Met.Ro. per come la racconta Desideri della Dc, «sono stati costretti a improvvisare il gioco dei quattro cantoni, scambiando i passeggeri dei treni e quelli in attesa sulle banchine».
La cura del ferro non funziona nemmeno dentro il Raccordo anulare. Il tram «8», che in precedenza aveva regalato incidenti spettacolari, deragliamenti, trenta feriti in una botta sola, ha subíto ulteriori traversíe: il lotto dei treni è stato ritirato, sostituito con 80 nuovissimi jumbo-tram (per una spesa di circa 150 milioni di euro) che però non erano adeguati all’«armamento a terra» delle strade cittadine.
Così, anche questi sono stati tolti di mezzo, piazzati in depositi presi in affitto, revisionati con ulteriore aggravio di spesa, e lentamente rimessi in circolazione.
Molti progetti di viabilità su ferro sono stati rivisti, sempre al ribasso. I chilometri sono diminuti di pari passo con i passeggeri scesi, in quattro anni, da 90 milioni a 46. Il tram incide, dunque, poco o nulla sulla viabilità: 5 milioni di chilometri all’anno a fronte dei 175 totali.
E così viene automatico assistere a un deficit colossale per l’Atac, l’azienda dei trasporti comunali che ingloba anche le perdite di Met.Ro. e Trambus: 127 milioni di euro. Se l’assessore regionale ai Trasporti, Fabio Ciani, un giorno s’è lasciato scappare che la politica veltroniana sulla mobilità era a dir poco disastrosa, i sindacati poco o nulla disturbano il Manovratore che a capo di tutte le aziende di trasporto cittadino ha piazzato ex dirigenti Cgil.
Persino il dossier dell’Authority comunale, solitamente benevolo con i committenti del Campidoglio, non può fare a meno di notare come le periferie siano snobbate dal trasporto pubblico locale. «Le situazioni più critiche sono quelle che caratterizzano i municipi più estesi e periferici che peraltro sono anche i più popolosi. Ciò è particolarmente importante poiché mostra come le situazioni di maggior disagio siano concentrate proprio là dove la popolazione risulta concentrata in quartieri generalmente recenti e densamenti abitati». Addirittura quasi 50mila persone hanno la sfortuna di non essere servite da mezzi pubblici, su gomma o su ferro, in un raggio di ben 600 metri.
Ci sarebbe poi il capitolo dell’«anello ferroviario» iniziato nel 1913 e mai completato nonostante le assicurazioni del sindaco, che al pari del predecessore Rutelli, ha fatto promesse su promesse in campagna elettorale. L’ultima volta che il sindaco dell’età del ferro ne ha parlato è stato a gennaio: «I lavori termineranno entro il 2010». Tre anni per fare sei chilometri. Con calma, tanto i romani vanno a piedi.
(11. Continua)
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