Venerdì nelle sale Commedia pirandelliana

RomaUn ragazzo solitario di oggi, un pugno di attori morti, però vivissimi, una villa di Monteverde: in mano a Ferzan Ozpetek anche i fantasmi possono animare un universo di grande ricchezza e comicità. Così Meravigliosa presenza (da venerdì nelle sale, con 400 copie distribuite da 01) diverte quand’è commedia polifonica, interpretata alla maniera pirandelliana dei Sei personaggi in cerca d’autore e intriga quando si fa thriller, all’inizio. Elio Germano qui è Pietro, un introverso aspirante attore, che da Catania si trasferisce a Roma, attratto dal mondo dello spettacolo. Tanto sua cugina Maria (Paola Minaccioni) è talmente caotica, da trasformare la loro convivenza in un inferno, quanto il sensibile giovanotto si chiude in una solitudine muta, che lo obbliga a cambiare casa. La nuova abitazione di Pietro, tutta labirinti e stanze ampie, è però abitata da strani morti viventi, che hanno il sembiante seduttivo di attori degli anni Quaranta: si tratta d’una compagnia di giro, con Beppe Fiorello facsimile di Rodolfo Valentino; Vittoria Puccini e Margherita Buy fataleggianti quanto basta a evocare la Dietrich, un baritono e altri interpreti d’un canovaccio-fantasma.
E mentre lo spettatore smette di chiedersi se le «magnifiche presenze» siano o no reali, il pensiero corre a un libro importante di Cristina Campo, intitolato La tigre assenza (Adelphi). Perché lì, come qui, la solitudine degli umani è così lacerante da far evocare chi è morto ed è pronto a ruggire in un angolo, perché assente. Il finale? Si ambienta al Teatro Valle di Roma, dove la commedia Sei personaggi in cerca d’autore fu rappresentata per la prima volta e dove Elio Germano, con altri attori e creativi, quest’anno è accorso per non farlo chiudere. «Il mio film nasce dal racconto di un amico: aveva cambiato casa e raccontava di vedere persone diverse a colloquio con lui. Prima lo prendevo in giro, ma dopo abbiamo scoperto che in quella casa c’era stato un delitto», spiega Ozpetek, qui alla sua nona prova. Ancora sul filo della fantasia, che però trae spunto da realtà sociali molto evidenti - ne Le fate ignoranti si trattava della doppia vita condotta da molti, tra omosessualità e convenienze borghesi, qui è della solitudine che si parla -, Ozpetek sa dirigere i suoi attori. «È il mio film più complesso, dove si mescolano lacrime e dramma, proprio come nella vita vera. E poi c’è molto di me: mi riconosco nel giovane sperduto, che arriva da Catania nella capitale senza conoscere nessuno. E poi, credo nell’assunto del poeta Attilio Bertolucci: “Assenza, più acuta presenza”», dice il regista, che stavolta ha preso una cotta (dichiarata) per Germano. Quanto a quest’ultimo, ormai non facciamo più in tempo a seguirlo: tra Faccia d’angelo su Sky Cinema e i suoi ruoli sul grande schermo (oltre a Magnifica presenza, c’è Diaz), Elio si sta trasformando in prezzemolino. «Questo film è stato un viaggio bellissimo. Ferzan ama gli attori e le loro perversioni in modo viscerale.

Il mio Pietro era diventato un amico. Qui si rivendicano la fragilità e la sensibilità degli esseri umani, spesso costretti a indossare una maschera. Il messaggio è: la salvezza sta nel coltivare le passioni», scandisce l’attore.

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