Veneti in manovra verso il Monte dei Paschi

Pronti Tabacchi Marchi, Caovilla e Chiarotto. Hopa pesa sui conti trimestrali

da Milano

Minimo 2%, ma forse anche di più, verso il 5 per cento: imprenditori veneti tornano a fare gruppo in una banca veneta, anche se il caso impone, questa volta, di diventare soci di una banca toscana: il Monte dei Paschi di Siena. È l’effetto dell’acquisizione della banca Antonveneta da parte di Mps, che ha comprato dagli spagnoli di Santander. Ma che si appresta a dare una forte connotazione locale alla «nuova» Antonveneta.
Per questo una parte degli ex soci di Antonveneta ai tempi della gestione Pontello e prima dell’Opa lanciata dagli olandesi di Abn Amro (poi conquistati dal Santander), ha partecipato all’aumento di capitale di Mps e si presenterà con una quota stimata tra il 2 e il 5%. Tra loro è uscito allo scoperto Enrico Marchi, patron della Save (aeroporto di Venezia), dichiarando l’interesse fino al 2 per cento. E con lui amici come René Caovilla, Romeo Chiarotto, Giuseppe Stefanel, Giuliano Tabacchi. Non è chiaro se poi Marchi & C. troveranno anche il modo di mettersi insieme in una sorta di patto di sindacato, in modo da rendere più forte il blocco veneto. Quella che è certa è l’intenzione di pesare nelle scelte centrali senesi in ottica triveneta.
Anche perché dal 3 giugno cambia tutto a Padova: dei circa mille sportelli che Abn Amro aveva ribattezzato dopo l’Opa sull’istituto veneto, Mps ha deciso di lasciarne 440 al territorio di Trentino, Friuli Venezia Giulia e Veneto. Ritroveranno l’insegna «Antonveneta» e avranno in Giuseppe Menzi un direttore generale (con l’ipotesi che diventi ad) con ampi poteri di autonomia decisionale per il territorio. Insomma, una sorta di rinascita della vecchia Antonveneta. Invece i rimanenti 600 sportelli nel resto d’Italia (con una forte presenza al Sud), diventeranno filiali del Monte Paschi. E della breve esperienza di Abn (che meno di due anni fa aveva a sua volta cambiato le insegne delle filiali) non resterà nulla. L’aumento di capitale di Mps da 5 miliardi terminerà lunedì. E sono state proprio le condizioni vantaggiose dell’operazione (tra diritti e azioni si poteva partecipare con un esborso inferiore ai 2 euro per azione per un titolo che ieri ha chiuso a 2,29, ma che sei mesi fa valeva oltre 3) a creare le condizioni per la cordata veneta. Ieri è stato il dg di Mps, Antonio Vigni, a confermare il closing con il Santander per il 30 maggio. E nell’occasione sono stati annunciati i dati del primo trimestre, spinti in alto dalla vendita delle attività di banca depositaria a Intesa Sanpaolo per 196 milioni.

Al netto di tale operazione l’utile netto si attesta a 190 milioni, «fortemente influenzato dalla svalutazione del valore di carico di Hopa per 62,9 milioni di euro», come spiega la nota di bilancio. Una partecipazione che resta in sospeso di una soluzione che appare per ora difficile da trovare.

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