Venezia contro Roma: Giochi pericolosi

di Cristiano Gatti

Siamo fedelissimi interpreti dello spirito olimpico: anche nella corsa delle candidature, per noi, l’importante è partecipare. Giochi 2020: partecipiamo con due città, due progetti, due sogni, in fondo con due idee lontane di Italia. In gara, Roma e Venezia. Già è difficile vincere con un solo progetto compatto, che rappresenti il sogno collettivo di una nazione intera, figuriamoci affrontare la selezione divisi e sparpagliati, parlando male l’uno dell’altro. Correndo in questo modo, come sistema Italia riusciamo a costruire insieme una cosa sola: i migliori presupposti per prendere una nuova portellata. I nostri avversari avranno gioco facile: per scartare Roma basterà ascoltare cosa dicono i veneti, per scartare Venezia basterà sentire cosa dicono i romani.
Eppure non c’è verso. Si va avanti così, rivaleggiando e sgomitando, incuranti del risultato finale. Roma non ha alcuna intenzione di fare un passo indietro: la prospettiva di rivivere l’epopea del ’60, quella dei Berruti occhialuti e degli Abebe Bikila a piedi nudi, sta smuovendo l’orgoglio sopito. In quanto Capitale, in quanto Roma, fino a poco tempo fa era evidentemente convinta che a farsi da parte fosse Venezia, notoriamente città declinante, anzi morente, anzi affogante. Calcolo sbagliato. Nonostante lo stesso Cacciari abbia fiutato che tutto il mondo romano, dai palazzi della politica a quelli del Coni, fino al più basso generone di attorucoli e soubrette, sia già schierato per il revival del ’60, Venezia non cede. Venezia vuole il braccio di ferro. E alla fine vinca il migliore. O muoia Sansone con tutti i filistei.
Solo il tempo dirà se in questo derby italiano si gioca per vincere o per far perdere il nemico. Siamo specialisti anche in questo, noialtri inguaribili patrioti: preferiamo perdere tutti quanti, purché non vinca il campanile dei vicini. Ovviamente, è un sentimento che coviamo nell’inconscio. Nella pratica ciascuno dice di correre lealmente, senza curarsi dei rivali, puntando solo al risultato. Ed è con questo spirito che Venezia conferma tutti i suoi piani. Come Roma, la città-museo non vede alcun motivo per ritirarsi prima di correre. Siamo alle Olimpiadi, l’importante è partecipare. Il sogno veneto è già tutto scritto nero su bianco. Contro le dicerie romane, che parlano di un’Olimpiade troppo dispersiva, si sottolinea come tutto sarà (sarebbe) molto concentrato. Il bacino di utenza comprende 25 milioni di persone (dal Nord Italia alla Slovenia, dall’Austria al Sud della Germania), che possono raggiungere Venezia in giornata. Gli aerei collegano le principali città europee in due ore. Quanto agli impianti, il Quadrante Olimpico verrebbe collocato a Tessera, a ridosso della bretella autostradale e dell’aeroporto Marco Polo. Da lì si arriverebbe in 12 minuti al parcheggio in zona Vega, dove sorgerebbe l’Arena Indoor, e in 8 minuti al Parco Olimpico di San Giuliano. All’aeroporto ci sarebbe anche la nuova fermata della tratta ferroviaria ad alta velocità, che partirebbe dalla stazione di Mestre per percorrere la gronda lagunare in sotterranea. In totale, 420mila i posti letto per gli spettatori.
Al di là dei singoli dettagli, è già chiaro che Roma farà bene a non sottovalutare la concorrente lagunare. A non considerare la sua corsa una carnevalata estemporanea. Se a Nordest hanno un pregio, questo è l’orgoglio: quando sentono in gioco la propria reputazione e il proprio prestigio, lavorano duro. Onestamente, senza offesa per nessuno, non si può dire che su questo piano l’opulenta e paciosa capitale possa competere. Anche se sembra di intingere il biscotto nella scodella dei luoghi comuni, in realtà solo questo è, null’altro, la corsa olimpica delle candidature italiane: due modelli, due culture, due stili in eterna competizione. Anche per questo risulta così difficile il confronto: Roma e Venezia sono antitetiche e inconciliabili, fino al limite dell’incomprensione e dell’incomunicabilità, più delle idee generiche di Nord e di Sud. Capita spesso che i pugliesi leghino con i friulani, o che gli abruzzesi s’intendano meravigliosamente bene con i lombardi. Si può persino assistere a dialoghi costruttivi tra altoatesini e siciliani, uniti almeno dall’idea dell’autonomia e dello statuto speciale. Ma tra Nordest e Roma è il derby più sentito e più cruento. Su, vedono Roma come un luogo di ozio, di vizio e di ruberie eterne. Giù, vedono i veneti più o meno come un’orda di grezzi primitivi, febbrilmente dediti all’evasione fiscale. Pensare di trovarli seduti allo stesso tavolo, di osservarli dialogare e magari reciprocamente comprendersi, è pura utopia. Piuttosto che vedere le Olimpiadi a Roma, Venezia le preferirebbe a Tripoli. Piuttosto che vederle a Venezia, Roma le preferirebbe in Alaska.
Questo a livello ideale. Poi c’è il resto. Quando si parla di Olimpiadi, la gente comune pensa ai D’Inzeo e a Carl Lewis, a Maenza e a Yuri Chechi, ma i comitati organizzatori hanno anche altro per la testa: piani edilizi e viabilistici, infrastrutture, finanziamenti pubblici e privati. La vera corsa, che alla faccia di De Coubertin bisogna assolutamente vincere, è la corsa sfrenata all’affare della vita. Molte città del mondo, con le Olimpiadi, hanno cambiato il proprio profilo e il corso della propria storia.

Non è per niente facile rinunciare a tutto questo. Non rinuncia Roma, non rinuncia Venezia. Bisogna rassegnarsi: sarà gara dura fino alla fine. Tutt’al più, anziché organizzare i Giochi olimpici, si ritroveranno insieme a organizzare tombolate.

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