Infine lo definisce così: «Mio padre era anarchico, completamente anarchico». È morto vent’anni fa, manca poco all’anniversario. Maria Sole Tognazzi è una figlia d’arte a modo suo, riservatissima e pacata, mai una parola tanto per gradire e molto lavoro di quello tosto perché le sue fatiche sono sempre state il doppio del normale: primo fare bene, secondo zittire i soliti specialisti in malignità. Sapete, quelli che lei tanto è una Tognazzi quindi ha tutte le porte aperte, figurarsi. Sabato sera su Iris è andato in onda il suo debutto da regista, Passato prossimo del 2003, subito Nastro d’Argento e Globo d’Oro, e sui canali musicali passano sempre i video che ha diretto (di Paola Turci, di Carmen Consoli, di Sergio Cammariere).
Per spiegarci, quando qualche grande vecchio vuole indicare una giovane promessa, eccola qui, Maria Sole, 39 anni, il garbo in persona sul set, e quel gusto di spiegare una generazione senza sprofondare nell’enfasi perché, dopotutto, nulla è più emozionante della realtà.
In effetti lei ha sempre parlato poco (pubblicamente) di suo padre.
«Sì sono sempre stata molto riservata su questo aspetto».
A ottobre saranno vent’anni dalla sua scomparsa.
«E io ho girato un documentario sulla sua vita».
Lei?
«Prima non me la sarei sentita. Ma stavolta ho detto sì d’istinto. È stata una proposta della società di Matteo Rovere e sarà prodotto anche da La7. Ho accettato volentieri».
Titolo?
«Ritratto di mio padre. Ho lavorato tutto l’inverno e c’è ancora molto da fare, specialmente nella parte grafica».
Dipende da quando lo presenterà.
«Alla prossima Festa del Cinema di Roma, che arriva a ridosso della ricorrenza. Mio padre è morto il 27 ottobre del 1990 e in concomitanza la Festa gli riserverà tanto spazio, con omaggi, incontri e addirittura dvd in regalo».
Invece la tv lo omaggia sempre. In questa stagione, poi: impossibile non incrociare il volto di Ugo Tognazzi in qualche replica.
«E dire che con Raimondo Vianello fu davvero il primo epurato della Rai a causa della satira politica».
1959: presero in giro il presidente della Repubblica Gronchi che era caduto nel tentativo di sedersi durante la Prima della Scala.
«Fu la prima censura ed è comunque difficile il raffronto con quanto accade oggi. Il loro programma Un due tre aveva un successo impensabile, da anni raccoglieva milioni di persone a ogni puntata. Ma fu bloccato. E il fatto che la coppia Tognazzi Vianello fosse cacciata via dalla Rai fu davvero eclatante».
Però, se si rivede quella gag, fa ancora ridere. Forse, rivista tra quarant’anni, la satira di oggi sarà meno divertente.
«Mio padre era davvero anarchico. Anarchico e libero. Non tanto a parole ma proprio nei fatti. E la sua anarchia, che me lo rende tanto simpatico, poteva causare dolore».
Anche a lei?
«In alcuni casi sì. Quando si è troppo liberi, si rischia di fare del male».
Non essendo allineato, non è tra gli attori più celebrati.
«Forse perché fu il primo dei grandi ad andarsene, per lui non fu neanche allestita la camera ardente e non furono celebrati i funerali di Stato che oggi spesso si riservano agli artisti. Oggi dopo i grandi lutti c’è una pubblica overdose di affetto che allora non ci fu».
Ecco, vede.
«Diciamo che l’Italia non è un paese con tanta memoria. E, in effetti, i miei fratelli o altre persone che lo conoscevano si lamentano di questa dimenticanza. Ma io in realtà non credo che Ugo sia stato trascurato».
Scusi, lo chiama Ugo?
«Mi ero sempre ostinata a chiamarlo papà ma, da quando ho girato questo documentario, ho iniziato a chiamarlo Ugo. D’altronde quando lo chiamavano “papà” non rispondeva mai. A Ugo sempre».
Quale Ugo c’è in «Ritratto di mio padre»?
«Io mi sono messa dietro la telecamera e il mio contributo di figlia è soltanto nel fatto che ho girato questo documentario e ho fatto alcune interviste.
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