Politica

La vera lotta per la successione comincia soltanto adesso

I clan del nuovo re Abdullah affilano le armi per conquistare i posti chiave nel governo del Paese

Gian Micalessin

Re Fahd, morto che cammina da un decennio, ha tolto il disturbo e la vera lotta per la successione può cominciare. La salita al trono di Abdullah bin Abdel Aziz Al Saud e la promozione a delfino del 77enne fratello principe Sultan sono soltanto un intermezzo. La vera lotta tra clan che segnerà il futuro dell'Arabia Saudita inizia ora e terminerà con la morte del nuovo sovrano. A dir il vero è iniziata due settimane fa quando il principe Bandar, ambasciatore negli Stati Uniti fin dal 1983, abbandonò senza spiegazioni la sua carica e tornò a casa. Dietro quelle dimissioni non c'erano né una malattia né l'acuirsi del dissidio con il ministro degli esteri Saud Al Faisal, delegato da principe Abdullah a controllare i rapporti con l'alleato americano. Bandar ritornò per dar man forte al padre Sultan e a tutto il clan dei «sudairi» nell'imminenza della morte di Fahd.
I «sudairi» prendono il nome da Ahmad al Sudairi, quarta moglie di quel leggendario Re Abdel Aziz ibn Saud fondatore del regno saudita e capostipite di una sterminata famiglia reale iniziata dai 44 figli delle sue 17 mogli. Con la morte del capo clan Fahd, i «sudairi» insediati in posizioni chiave devono avviare le manovre per garantire alla propria prole il diritto di successione. A minacciare i loro piani ci sono le alleanze e gli accordi che il nuovo sovrano Abdallah potrebbe stringere con gli altri clan di una famiglia reale che conta migliaia di persone. Abdallah non ha un clan suo perché fu l'unico figlio generato da Re Saud con Asi Al Shuraim, la sua settima moglie. I sudairi nella loro lotta ad Abdullah possono dunque contare sulla forza dei numeri. Il principe Sultan fa affidamento oltre che sul figlio Bandar anche sul 72enne fratello Nayef ministro degli interni e sul potente principe Salman governatore, a 69 anni, della strategica provincia di Riad. Ma la fonte di potere più importante per Sultan, acerrimo rivale di Abdallah, deriva dalla carica di ministro della Difesa, dal controllo delle forze armate e delle basi ancora utilizzate dagli americani. A questo s'aggiungono le forze di polizia e gli apparati di sicurezza del ministero dell'Interno messigli a disposizione, in caso di necessità, dal fratello Najaf e eventualmente il controllo della capitale e dei suoi apparati tramite il fratello governatore.
Il punto debole di Sultan è però la salute. Sebbene più giovane di Abdullah è uscito, lo scorso anno, da una dura lotta con il cancro bloccato o rallentato da una massiccia chemioterapia. Dunque il principe ereditario deve pensare più al futuro del figlio Bandar che al proprio. Soltanto passando a Bandar la carica di ministro della Difesa e il controllo delle forze armate lo eleverà a numero tre del regno mettendolo in posizione privilegiata nella lotta per la successione ad Abdullah. Ma il passaggio di consegne a Bandar serve anche a preservare il controllo dei sudairi sulle forze armate e mantenere aperti i rapporti con il Pentagono. In dieci anni di reggenza il rivale Abdullah ha progressivamente eroso i loro strumenti di potere. Dal punto di vista militare il nuovo sovrano può contare sull'efficienza della Guardia nazionale, il corpo d'elite sempre rimasto sotto il suo diretto comando. Ora bisognerà vedere se Abdullah ne manterrà il controllo o lo delegherà ad un generale di fiducia.
L'altro grande terreno di sfida è quello dei rapporti con Washington. Dopo gli attentati dell'11 settembre messi a segno da 15 sauditi su un totale di 19 terroristi, Abdullah è riuscito a ricucire i rapporti con Washington e contemporaneamente a sgretolare il monopolio imposto su questi dall'ambasciatore Bandar. Per dimostrare impegno nella guerra al terrorismo ha schierato la sua Guardia nazionale in prima linea nella lotta ad Al Qaida spesso facendo ombra alle forze di sicurezza del ministro degli Interni principe Najaf. Sul piano politico Washington ha apprezzato lo sforzo di indire per la prima volta elezioni a livello amministrativo, la rottura dopo gli attentati del 2003 con il clero wahabita più vicino ad Al Qaida e la presentazione nel 2002 di un piano di pace che prevede il riconoscimento d'Israele da parte di tutte le nazioni arabe. In economia sono apprezzate soprattutto per le sue riforme economiche rivolte a garantire meno privilegi alla sterminata famiglia reale, una più equa distribuzione della ricchezza e la creazione di risorse alternative rispetto al petrolio. Ma il suo rifiuto di aumentare la produzione di petrolio gli ha ultimamente alienato le simpatie conquistate alla Casa Bianca. Dopo il 2001 Abdullah ha spesso scavalcato l'ambasciatore Bandar delegando gran parte dei rapporti con Washington al ministro degli Esteri Saud Al Faisal, figlio di quel re Faisal che governò il paese dal 1964 al 1975.
Il legame con il clan dei Faisal è la vera alleanza strategica in termini dinastici del nuovo sovrano.

Ma questa alleanza rischia di compromettere i rapporti con gli Stati Uniti indispettiti, sembra di capire, dalla nomina ad ambasciatore a Washington del principe Turki, un Al Faisal noto per aver guidato i servizi segreti fino a due settimane prima dell'11 settembre e per aver in passato tenuto stretti contatti con Osama Bin laden e i militanti wahabiti impegnati nella jihad afghana.

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