La vera storia di Oscar Luigi Scalfaro antifascista doc

Caro dottor Granzotto, ha pronunciato fierissime parole in difesa della libertà, recentemente, Oscar Luigi Scalfaro, presidente emerito della Repubblica italiana. A sessant’anni dalla fine della guerra, e anche se ormai in tarda età, egli lotta ancora strenuamente contro il fascismo, contro Mussolini e perché no, contro gli aspiranti emuli di oggi.
E figuriamoci da giovane, mi sono detto io, chissà quanto fieramente si oppose, da giovane amante della libertà, alla dittatura fascista! Chissà quanto fieramente combattè con le armi in pugno contro gli esecrandi fascisti e nazisti, chissà quante e quali eroiche gesta compì, con sovrano sprezzo del pericolo, l’allora giovane O.L.S.!
Me ne parli, lei, caro Granzotto, e non sia avaro di riconoscenti e doverosi encomi. E no si freni nell’esprimere tutta la sua ammirazione per la fierezza dell’Uomo.


Ma lo sa, caro Carozza, che il nostro amatissimo capo onorario dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro, è presidente dell’Istituto storico di studi della Resistenza? Quel posto lì mica lo danno a uno qualsiasi, lo danno a chi può vantare un curriculum resistenziale coi fiocchi e magari anche coi controfiocchi. Discreto come sempre, il nostro Oscar non mena vanto dei mesi trascorsi su in montagna a tirar schioppettate al perfido crucco o all’infame repubblichino per cui, purtroppo, non si sa né quando né dove né come abbia fatto il partigiano. In compenso sul suo antifascismo militante se ne sa quanto basta, e avanza. Da zero a 7 anni, niente antifascismo perché non c’era il fascismo. Dai sette ai 25 anni lo vediamo chino sui libri a studiare ed è probabile che qualche antifascistata l’abbia fatta, magari al liceo o all’università. Però non se ne conserva traccia. Nel 1943 il nostro Oscar entra in magistratura e nel ’43 i casi erano due: o il neomagistrato giurava fedeltà al Duce e al fascismo o al Duce e alla Repubblica sociale, quella di Salò. Non si scappa. Ci fu chi, per non pronunciare la formula del giuramento, rinunciò a carriera, onori e prebende, correndo magari anche qualche rischio. Stando ai fatti, O.L. Scalfaro giurò (e sul suo onore). Potrebbe configurarsi quel giuramento una manifestazione di antifascismo? Hummm... Aveva forse l’interessato, al momento di esclamare: «Lo giuro!», incrociato le dita dietro alla schiena, gesto ritenuto invalidante il giuramento medesimo? Vai a sapere. Fatto sta che giura e diventa magistrato proprio mentre il regime tirava le cuoia facendo così scadere i termini dell’antifascismo militante.
Ma ecco che quando tutto sembrava perduto la dea bandata si sbenda: disgustato dalle sentenze sommarie dei Tribunali del Popolo il comando alleato (i soliti yankees) imposero - siamo a fine aprile 1945 - che venissero sostituiti da regolari Corte d’Assise Straordinarie in carica solo sei mesi. Chi, tra le file della Magistratura, voleva approfittarne per far carriera, doveva quindi affrettarsi. E il giovane antifascista in pectore Oscar Luigi Scalfaro si affrettò. Non ci fu chiamata: i magistrati che composero quelle Corti erano tutti volontari. In cambio del loro zelo venivano concessi scatti di anzianità à gogo per compensare le crisi di coscienza di chi sapeva d’esser chiamato a emettere, ove il caso, sentenze di morte. Allorché ascese al Colle, Oscar Luigi Scalfaro ammise che in qualità di pubblico ministero chiese e ottenne una sola pena capitale: quella per Enrico Vezzalini. Le cronache del tempo assicurano che almeno ad altri sei sciagurati toccò quella sorte, ma non saremo certo noi a dubitare della parola di uno Scalfaro. Il quale, tuttavia, per almeno un altro imputato, Salvatore Zurlo, invocò la pena capitale: «Il Pm Scalfaro - si legge nel Corriere di Novara - dopo chiarissima requisitoria condotta con vigoria ed efficacia conclude domandando la pena di morte per lo Zurlo». Costui, per sua fortuna (e scuorno del vigoroso ed efficace Pm) ebbe in Appello la sentenza annullata, ma ciò non toglie che Scalfaro Oscar Luigi s’adoperò perché finisse al muro.

Ed ecco il punto: siccome i condannati a morte da Scalfaro appartenevano alla Repubblica sociale, l’averli spediti o voluto spedire davanti al plotone d’esecuzione può esser considerata azione partigiana e/o antifascista ancorché tardiva? Dal tono delle dichiarazioni, dalla pomposità delle sentenze e dal ritenersi perfettamente idoneo a ricoprire la carica di capo dell’Istituto storico di studi della Resistenza, direi che l’interessato è di quella opinione: la condanna alla pena capitale di (almeno) due repubblichini vale come diploma di antifascista Doc. Lei invece cosa ne pensa, caro Carozza?

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