Verdi al bar e in ritardo? Liste subito riammesse

Posto che vai, Tar che trovi. Se il buonsenso si usasse a tutte le latitudini, non servirebbe un decreto legge. Il precedente è del 2006, quando a Campobasso si è corso per le Provinciali. Anche allora qualcuno finì - momentaneamente - fuori dalla competizione per colpa di una consumazione al bar. Ma poi fu riammesso dal tribunale amministrativo regionale secondo un principio semplicissimo: «L’importante è garantire il diritto di voto ai cittadini». Eppure se le toghe romane oggi sono inflessibili e non perdonano il panino consumato dagli uomini del Pdl, in Molise sono stati molto comprensivi riguardo al «calo di zuccheri» capitato al rapprsentante dei Verdi quattro anni fa. Due storie talmente simili da aver avuto esiti opposti.
Il funzionario del Sole che ride si presenta all’ufficio centrale elettorale di Campobasso alle 11.15 e la scadenza dei termini è fissata alle 12; c’è coda, ritira il biglietto con il numero - come in posta o al supermercato - e attende il suo turno. Dopo un po’, le cose vanno per le lunghe, scende al bar per prendere una bevanda fresca. Quando torna per depositare i documenti, gli viene chiusa la porta in faccia perché il tempo ormai è scaduto. Proprio come accaduto ai pidiellini Milioni e Polesi. I Verdi presentano ricorso nel giro di cinque ore, allegando i documenti richiesti, l’ufficio elettorale però respinge pur trattenendo gli atti. Scatta il ricorso al Tar. Quasi nell’ombra - nessuna norma d’urgenza, gli avversari non scendono mica in piazza - ecco che il Tar dà ragione ai Verdi, riammessi subito alle urne in coalizione con il centrosinistra di Nicola D’Ascanio, che poi vincerà le elezioni. Coincidenza, il presidente del Tribunale era Calogero Piscitello, oggi membro del Consiglio di Stato chiamato a pronunciarsi sul Pdl.
Spiega l’avvocato Fabio Del Vecchio, che curò il ricorso: «I giudici riconobbero la buona fede del rappresentante, che era arrivato prima delle 12. Giustificarono il suo comportamento, dovuto all’organizzazione dell’ufficio elettorale “colpevole” di averlo messo in attesa senza dargli la possibilità di depositare immediatamente le firme e i documenti».

E soprattutto: nessuno dubitò che questi potessero essere stati truccati prima dell’effettiva consegna, così li accettarono senza riserve. «Anzi - conferma il legale -, per i giudici fu sufficiente l’autocertificazione del rappresentante e perfino la testimonianza di un alleato del Pd...». Due Tar e due misure.

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