Verdini lascia la banca ma resta coordinatore: «Tempesta mediatica»

RomaDenis Verdini rassegna le «dimissioni irrevocabili» da presidente del Credito cooperativo fiorentino. Ma ai finiani non basta: deve lasciare il ruolo di coordinatore del Pdl, vogliono che se ne vada pure dal vertice del partito. Prima era Brancher, poi Cosentino, ora lo scontro tra maggioranza Pdl e minoranza interna affiliata al presidente della Camera ancora una volta ruota intorno a un uomo che se ne deve andare: Verdini. E non importa se l’interrogatorio in procura è avvenuto soltanto ieri. Prima che il deputato toscano arrivasse a piazzale Clodio accompagnato dai suoi avvocati per rispondere ai magistrati che indagano sulla cosiddetta P3 (la presunta associazione «segreta» di cui avrebbe fatto parte) sul coordinatore si è abbattuto il fuoco «amico» dei brigadieri di Fini: dovrebbe fare «un passo indietro», si augurava già in mattinata Italo Bocchino, ex vicecapogruppo vicario del Pdl alla Camera. Per il bene del partito, ha chiarito il più ribelle dei finiani: «Il Pdl trarrebbe vantaggio se il coordinatore fosse un soggetto non in una situazione complessa».
Una maggiore vicinanza e comprensione è arrivata a Verdini invece dal consiglio di amministrazione della banca: il cda del Ccf ha deciso di dimettersi in blocco esprimendo «solidarietà al presidente dimissionario» e «ribadendo di aver condiviso, fin dalle modalità di elezione, la gestione ordinaria e la totalità delle scelte, operate nell’esclusivo interesse della Banca e dei suoi soci». Solidarietà piena, e politicamente importante, anche da uno degli altri due coordinatori, il ministro Ignazio la Russa: «Sulla parola d’onore Denis mi ha detto che non ha commesso nessun reato, e io ho il diritto-dovere di credergli». Poi, quasi in controcanto rispetto a Fini che ieri ha chiesto le dimissioni per chi è indagato, l’ex colonello del presidente della Camera al Tg3 ha spiegato: «Se accettassimo il principio che qualunque accusa presupponga le dimissioni, faremmo il gioco di chi vuole destabilizzare tutto».
Verdini ha ufficializzato la decisione di lasciare l’istituto fiorentino nel giorno del suo interrogatorio in procura in una lettera inviata al consiglio di amministrazione: «In questi mesi - ha scritto - si è abbattuta sulla mia persona e indirettamente sul Credito cooperativo fiorentino una tempesta giudiziaria e mediatica di ampie proporzioni».
Il coordinatore del Pdl ha chiarito di essere «assolutamente certo di poter dimostrare la mia estraneità da ogni illecito che mi viene in questa fase addebitato». Ma la scelta è frutto di una presa «d’atto che la rilevanza assunta dai fatti che mi vengono imputati rischia di gettare un’ombra sulla banca».
Ancora insoddisfatto, e allusivo, Bocchino: «Mentre il Pdl sta cercando di radicarsi sul territorio, è difficile difendere davanti all’opinione pubblica chi teneva nella sede del Pdl riunioni con pluripregiudicati». Un finiano più moderato ma comunque doc, il viceministro dello Sviluppo economico Adolfo Urso, si è associato: Verdini dovrebbe manifestare nei confronti del partito «la stessa sensibilità e le stesse motivazioni che lo hanno spinto a dimettersi da presidente della Banca del Credito Cooperativo Fiorentino». Quindi dovrebbe lasciare.
Attaccando ancora Dell’Utri e Verdini, Bocchino è poi tornato invece a difendere l’amico Fabio Granata, il vicepresidente della commissione antimafia che ha accusato pezzi dello Stato di remare contro le indagini sulle stragi di Cosa Nostra: «Mi pare difficile si affronti il “caso Granata” davanti ai Probiviri ora, quando non sono stati affrontati in passato i casi Verdini, Cosentino, Dell’Utri...». Ma a questo proposito ci ha pensato a zittirlo Massimo Corsaro, ex An, nel direttivo del Pdl: «Quando lo stesso Italo Bocchino venne ingiustamente accusato per la vicenda Romeo, nessuno chiese che i probiviri si occupassero di lui». Una cosa è attaccare il partito, con un conseguente possibile processo interno, altra essere accusati di un reato tutto da dimostrare: nel caso di Bocchino, ricorda Corsaro, «si attese correttamente l’esito delle indagini». Su di lui non si pronunciò ma preventivamente il Pdl.

Alla fine, poiché per tutto il giorno l’Italia dei Valori non ha fatto altro che invocare le dimissioni di Verdini, il risultato è stato che dipietristi e finiani si sono ritrovati sullo stesso fronte: il coordinatore deve lasciare.

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