Gian Marco Chiocci - Massimo Malpica
Non è cosa buona e giusta gettare la croce addosso a San Guido Bertolaso, subito ribattezzato «Bertolaido» da Marco Travaglio. Non lo è perché al di là di quel che le carte giudiziarie fiorentine ad oggi sembrano testimoniare, e ribadiamo «sembrano», non c’è la prova che i fatti corruttivi contestati al capo della Protezione civile siano riscontrati. Tutt’altro. Già ieri su questo Giornale abbiamo sottolineato come:
1) Non esistono riscontri certi, diretti o indiretti, del passaggio di denaro fra l’imprenditore Diego Anemone e Guido Bertolaso. Non si è trovata traccia di un solo euro dei 50mila di cui Anemone, per conto suo, prima di incontrare Bertolaso, parla al telefono con un amico sacerdote. Così come nemmeno un centesimo, dei 10mila euro che alla fine Anemone riesce a recuperare, termina nelle tasche del sottosegretario. Come se non bastasse, non vi è nemmeno certezza che l’incontro fra i due - quello per la cessione della tangente fantasma - vi sia effettivamente stato. I carabinieri, pur pedinando gli indagati, non sono riusciti a dimostrarlo. Eppoi. Appena 10mila euro come contropartita per l’aggiudicazione di appalti da centinaia di milioni di euro? Stessa cifra della mazzetta intascata in due tranche dal consigliere comunale milanese arrestato giovedì? Le percentuali sulle bustarelle, è noto, sono ben altre. Lo stesso Bertolaso ci ironizza su: «Pensare che si possa imbonire o addirittura comprare con 10mila euro uno come me, che ha gestito lavori per centinaia di milioni, è perfino umiliante».
2) I passaggi dell’ordinanza relativi ai presunti «benefit sessuali» di cui Bertolaso avrebbe goduto per iniziativa dell’imprenditore Diego Anemone non sembrano supportati da seri riscontri obiettivi. Francesca, la ragazza che l’ordinanza quasi lascia intendere essere una escort, e i cui servizi più volte Bertolaso richiede via telefono ad Anemone o al collaboratore di questi Simone Rossetti (che gestiva il beauty center sulla Salaria) sarebbe in realtà una «normale» fisioterapista. Le cui prestazioni (12 in un anno, per l’esattezza) sarebbero sempre state pagate da Bertolaso e non offerte gentilmente - e con secondi fini - dalla «cricca dei banditi».
A rinforzare la tesi difensiva del sottosegretario emergono oggi nuovi dettagli, che sembrano confutare o quantomeno mettere in forte dubbio il quadro indiziario della procura fiorentina. A cominciare proprio dalla natura dei rapporti tra Bertolaso e la massaggiatrice Francesca. La donna, reduce da un intervento alla spina dorsale, ha 45 anni. Una signora di mezza età, media statura, capelli rossi. Non è dunque una giovanissima e avvenente fanciulla come s’è voluto far credere. Una fisioterapista professionista, diplomata, con regolare contratto di lavoro al centro Salaria Sporting Village. Che nella tarda serata di ieri avrebbe respinto ogni accusa, confidandosi con persone a lei vicine. Una massoterapista apprezzata dai clienti del centro, e assolutamente non nell’esclusività di Bertolaso che più di una volta - ci sono tre testimonianze - avrebbe affrontato lunghe file al club per attendere che si liberasse una finestra tra i turni. Tra l’altro il capo della Protezione civile avrebbe già recuperato la dozzina di fatture delle prestazioni per nulla ambigue con Francesca, fatture affidate al suo commercialista. Nonché la documentazione riferita all’«abbonamento platino», costo 1.450 euro annui, che aveva sottoscritto nel 2008 al Salaria Sport Village. Elementi sui quali chi è vicino al sottosegretario riferisce che Bertolaso non veda l’ora di parlare con i pm. Ai quali racconterà anche l’«equivoco» della prostituta brasiliana Monica con la quale, secondo l’ordinanza, Bertolaso avrebbe consumato un rapporto sessuale. Il gip sottolinea come Anemone fosse solito procacciare escort alla «cricca». Ma è così scontato che Bertolaso abbia accettato? O potrebbe aver declinato l’invito, come nel caso della «cosa megagalattica», serata con «frutta, champagne e tre ragazze», che sempre Anemone avrebbe organizzato per Bertolaso, e che per il giudice sarebbe un’orgia? C’è un dettaglio che rende il tutto grottesco: la «cosa megagalattica» non s’è mai svolta.
L’asso nella manica della difesa potrebbe nascondersi proprio tra le righe dell’ordinanza che ha spedito dietro le sbarre Anemone e tre ex collaboratori di Bertolaso. E si riferisce proprio alle conversazioni intercettate in cui si accenna al «capo» quasi come per studiare come raggirarlo e «fregarlo». Più che da complice, insomma, la «cricca» lo tratta come uno da maneggiare con prudenza, nel timore di insospettirlo e perdere la libertà d’azione. Due esempi su tutti. Il primo è una telefonata del 4 settembre 2008, in cui una funzionaria parla con Fabio De Santis dell’aumento che a lei pare eccessivo su alcuni lavori alla Maddalena assegnati ad Anemone. De Santis, scrive il gip, «è preoccupato per la reazione che può avere Bertolaso se gli prospetta l’esigenza di incrementare la spesa di 100 milioni di euro: “... quella bisogna che facciamo una riunioncina a Roma con Mauro e tutti quanti, perché bisogna... e bisogna prospettarla... a Bertolaso... perché sennò ci si incula, quello, cioè, se gli mandiamo un conto che sarà 100 milioni di euro in più... mi fa i peli”». E ancora, il gip annota come De Santis spieghi di aver già accennato a Bertolaso che il costo dei lavori per l’ospedale-albergo potrebbero lievitare, ma non così tanto: «Cazzo, tutto quello che fa lui (Anemone, ndr) è eccezionale. Anche perché, voglio dire, io sono andato ieri da Bertolaso a presentare il progetto a mare... praticamente gli ho detto che ci vogliono 100 milioni in più. Se mo gli dico “altri cento milioni di qua”, lui mi dice “ma vattene a fare in culo”».
De Santis, che aveva preso il posto di Angelo Balducci come soggetto attuatore per il G8, sembra dunque temere Bertolaso. E fa bene, perché proprio il sottosegretario, che sulla struttura della Ferratella aveva poteri di controllo, due mesi dopo questa conversazione lo fa saltare. Non è convinto del suo operato, l’hanno insospettito alcuni provvedimenti adottati da De Santis. Così al suo posto viene nominato Michele Calvi, che per la cronaca porta a termine i lavori e scampa alla bufera giudiziaria. Balducci, invece, il posto di attuatore l’aveva perduto per un incarico più prestigioso, la presidenza del Consiglio superiore dei lavori pubblici. Ma anche a lui, emerge dall’ordinanza, Bertolaso aveva chiesto conto, quando salta fuori una società che lo «collega» ad Anemone. Balducci e l’imprenditore stilano una memoria, la nota finisce sul tavolo di Bertolaso. Che forse la prende troppo facilmente per buona, e la cosa cade lì.
Il passaggio delle rivelazioni dell’Espresso è comunque un altro elemento su cui la difesa di Bertolaso punterà. Per sottolineare come, mentre il sottosegretario ne chiedeva conto e avviava inchieste interne, la «cricca» lavorava per controllare le informazioni in uscita sulla stampa e per trovare una via preferenziale con la procura. Di certo la posizione di Bertolaso nell’inchiesta è anomala. Il sottosegretario secondo l’ordinanza è potenzialmente «corrotto in concorso», eppure i suoi «concorrenti» sono dietro le sbarre, lui nemmeno ai domiciliari ma «soltanto» indagato e sputtanato. Senza essere colpito dalla misura interdittiva che gli impedirebbe di restare al timone della Protezione civile, sotto il cui cappello - secondo il gip - tutti gli affari del «sistema gelatinoso» pure si sarebbero svolti. Una contraddizione giudiziaria.
Che spiega l’abbondante uso del condizionale fra le carte del gip, ma non giustifica il fango mediatico che lo ha travolto. Come se non bastasse ieri il numero del suo cellulare privato, riportato nell’ordinanza, è finito sul web insieme a quest’ultima. All’improvviso hanno iniziato a chiamarlo, nessuno per fargli i complimenti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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