Ora che linquilino di Palazzo Chigi si chiama Mario Monti, lopinione pubblica e, soprattutto, la grande stampa sono protese a magnificare la «sobrietà» e i «sacrifici necessari» di una manovra indigesta e a forte componente fiscale.
La caratteristica fondamentale di una «certa» Italia è quella di indulgere alloblio. Ma cè un dato oggettivo che non si può dimenticare: se nel 2013 il nostro Paese centrerà lobiettivo del pareggio di bilancio promesso allUe, gran parte del merito sarà dellesecutivo del precedente governo Berlusconi che ha contribuito, per oltre l80%, a reperire quei 327,3 miliardi di euro che rappresentano la sommatoria delle ultime cinque manovre dal 2008 a oggi, inclusa quella approvata venerdì dalla Camera. E, soprattutto, ricorrendo in misura molto inferiore allinasprimento della pressione fiscale rispetto al suo successore.
A «stimolare» la memoria collettiva degli italiani ci ha pensato uno studio di Renato Brunetta, già titolare del ministero della Pubblica amministrazione. Rianalizzando, passo dopo passo, la struttura di tutti gli interventi sul bilancio pubblico effettuati negli ultimi quattro anni e avvalendosi dei dati della Banca dItalia, leconomista del Pdl ha ottenuto un risultato per certi versi sorprendente: limpatto cumulativo, tra 2008 e 2014, delle quattro manovre finanziarie del Cavaliere è stato di circa 265 miliardi di euro che si confrontano con i 63 di quella montiana. Insomma, il risanamento delle finanze pubbliche era già in atto e stava dando i suoi frutti quando quellesperienza è stata interrotta. Lex commissario europeo è infatti intervenuto in un contesto macroeconomico deteriorato e reso ancor più duro dallaumento degli spread che hanno inasprito il costo del servizio del debito pubblico, cioè la spesa per interessi.
Quindi, la «stangata» montiana ha una funzione meramente correttiva per riportare il rapporto deficit/pil verso lo zero nel 2013 e tenerlo in linea con le attese di Bruxelles (e soprattutto di Angela Merkel) nel 2012.
Ma a quale prezzo? Con 74,1 miliardi di nuove entrate (Imu, accise, tasse sul lusso, bolli sugli strumenti finanziari) e soli 30,3 di tagli alla spesa che, esclusi i 41,6 miliardi di minori entrate e maggiori spese, danno un effetto cumulato nel prossimo triennio di 63 miliardi. Il «segno di riconoscimento» è tuttaltro che piacevole: il 51% della manovra cosiddetta «salva Italia» sono tasse.
E Silvio Berlusconi? Si può andare a ritroso, ma il riscontro è sempre il medesimo: piuttosto che mettere le mani nelle tasche degli italiani (fatto salvo lo stato di necessità della scorsa estate) si è sempre preferito ridurre la spesa pubblica. Anche lultima manovra di Ferragosto, considerata insieme alla Legge di stabilità 2012 (ultimo atto del precedente esecutivo), con un effetto cumulato di 64,4 miliardi nel triennio 2012-2014 era fondata per il 64% sui tagli alla spesa, inclusa la clausola di salvaguardia sugli sgravi fiscali da 24 miliardi. E pure nella manovra di luglio da 80 miliardi, il 61% (65 miliardi) era costituito da tagli di spesa, sempre nei confronti di ministeri ed enti locali, mentre le maggiori entrate incidevano solo per il 26% (28 miliardi), mentre allo sviluppo erano dedicati 14 miliardi (13%).
Anche ritornando allanno scorso, con la manovra triennale di Giulio Tremonti del giugno 2010, si ottengono gli stessi risultati: 43,7 miliardi di riduzioni di spesa (tagli del 10% a tutti i ministeri) e 26 miliardi di maggiori entrate derivanti non da un aumento della pressione fiscale, ma da una stretta ai controlli anti-evasione. Eppure, fino a un anno fa, Repubblica & C. ogni giorno pullulavano di titoli sullaumento della pressione fiscale. Daltronde che il governo Berlusconi non fosse interessato a inasprire il prelievo lo si era capito fin dal suo primo atto: la manovra triennale dellestate 2008. Oltre 58 miliardi di minore spesa e solo 25 miliardi di maggiori entrate (Robin tax, prelievo sulle stock option e patrimoniale sui fondi immobiliari chiusi) che compensavano 25 miliardi di sviluppo.
Insomma, il confronto, anche se con orizzonti temporali differenti è impietoso per il governo di Mario Monti che, alla fine, è ricorso alla vecchia ricetta del «più tasse per tutti», ovvero per i soliti noti.
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