Vermeer e il fascino discreto della borghesia

Nelle opere del maestro olandese è dominante il benessere quieto e sognante del ceto medio

Vermeer e il fascino discreto della borghesia

L'imponente personale di Johannes Vermeer (1632-1675) al Rijksmuseum di Amsterdam (fino al 4 giugno), la seconda del genere dopo quella di trent'anni fa a Washington e poi all'Aja, ventotto quadri che ne costituiscono l'eredità pittorica in un arco di tempo che dal 1655 arriva al 1672, nemmeno vent'anni, dunque, racconta l'universo pittorico di un artista rimasto ancor oggi misterioso (niente lettere né diari a ricordarne la vita, tanto meno ritratti e autoritratti a tramandarne il volto). È anche però un buon punto di partenza per raccontare, sia pur brevemente, l'Olanda ricca e colta del suo tempo, lasciando sul limitare ciò che le avrebbe fatto seguito, «l'anno disastroso», ovvero proprio quel 1672 in cui Francia e Inghilterra avrebbero consacrato il suo declino e con esso il declino del pittore stesso, a cui la guerra intrapresa da quelle potenze avrebbe tolto committenti e impedito di vendere opere altrui di cui faceva commercio, sprofondandolo in una realtà debitoria che da quarantenne in salute lo avrebbe di colpo trasformato in una sorta di alienato mentale. Le cattive condizioni igienico-sanitarie della Delft dell'epoca, infezioni, epidemie, malattie cardiache mal curate, avrebbero messo alla sua vita il sigillo finale.

Ancora alla metà del secolo precedente, i gueux, ovvero i «pezzenti» dei Paesi Bassi, avevano iniziato una lotta di liberazione contro la Spagna di Filippo II che ne voleva limitare l'autonomia politica e la libertà religiosa. Nel 1607, dopo varie battaglie, secessioni, congiure e assassini - dalla rottura delle dighe per fermare l'invasione spagnola, alla contrapposizione fra provincie del nord, l'Unione di Utrecht, indipendentista, e provincie del sud, l'Unione di Arras, filospagnola, all'assassinio di Guglielmo d'Orange -, la sconfitta della flotta spagnola a Gibilterra a opera di quella olandese aveva segnato il primo punto di quella che sarebbe poi stata la decadenza della Spagna come potenza imperiale e poste le premesse per quella che nel 1645, in Westfalia, sarebbe stata, tre anni dopo, la pace di Münster. Con essa, la Spagna riconosceva l'indipendenza delle Province Unite Olandesi e l'Olanda, di fatto, faceva il suo ingresso nel concerto delle potenze marittime europee con vocazione imperial-mercantile: nel 1652, la prima colonia in Africa, presso il Capo di Buona Speranza, per garantire i rifornimenti delle navi delle Compagnie delle Indie Orientali, è opera sua.

Quanto sopra ci permette di capire meglio l'orizzonte pittorico di Vermeer, che è un orizzonte, se si escludono le più che celebri Veduta di Delft e Stradina, d'interni, ovvero famigliare, borghese e non aristocratico, né popolare, tanto meno plebeo, e dove a fare la parte del leone sono i tappeti e i gioielli, gli strumenti musicali e gli specchi, il vino e i corteggiamenti, lo scambio di lettere e la servitù fedele, una certa spavalderia maschile e una certa ritrosia femminile.

Come ha scritto Mario Praz, dalla pittura di Vermeer emana «una Stimmung, fatta di cose concrete e dell'aura di affetto di cui le circonda lo spirito dell'uomo». Ciò che ne resta fuori, e a cui Vermeer alluderà una sola volta con la Ruffiana, dove è il commercio della carne femminile a essere protagonista del quadro, sono le taverne e i locali, i mercati e i mercanti, le trattative, le officine, per tacere dei porti, delle barche e delle navi, e in pratica tutta la struttura economica che sta dietro alla solidità borghese che i suoi dipinti mettono in mostra, una solidità borghese che va di pari passo a un'accentuata vocazione culturale, libri, arazzi, carte geografiche e mappamondi. Il geografo e l'astronomo di due dei suoi ritratti maschili più famosi.

Con Vermeer quel Seicento olandese assume insomma il gusto di un benessere un po' sognante, ma fondamentalmente quieto, se non pacificato, dove gli unici elementi di trasgressione sono in fondo il colore squillante del copricapo di Ragazza con il cappello rosso e l'immagine di Cupido che fa da sfondo a un paio di ritratti femminili.

È però un sogno illusorio. Otto anni dopo la pace di Münster, il commercio olandese si è già scontrato con gli interessi marittimi inglesi e nel 1654 l'Atto di navigazione siglato fra i due Paesi è andato a tutto vantaggio del secondo. Dieci anni più tardi, le due nazioni sono di nuovo ai ferri corti e la colonia Nuova Amsterdam fatta sorgere dagli olandesi in territorio americano diventa la Nuova York dei più potenti rivali. La successiva pace di Breda chiude per il momento il conflitto, ma tempo cinque anni e l'Olanda si vede venire addosso non più l'Inghilterra da sola, ma alleata con la Francia: per la seconda volta, e sempre per decisione di un Orange, le sue dighe vengono aperte per ostacolare l'invasione del Paese, e quando una nuova pace, nel 1678, viene faticosamente raggiunta, l'Olanda conserva sì la sua integrità territoriale, ma ha perduto tutte le colonie del Nord America e la sua economia è ridotta allo stremo. Vermeer, lo abbiamo visto, stremato anche lui, è morto tre anni prima.

Se si torna per un attimo alle qualità quasi ipnotiche della sua arte, quei volti che sembrano fissare soltanto te, quasi mandandoti un messaggio e/o un invito impossibile da decifrare per gli altri, si capisce meglio il senso di quella famosa divagazione proustiana presente nella Recherche. Nel volume La prigioniera, lo scrittore Bergotte muore osservando Veduta d Delft, il quadro da lui più amato, dove, per la prima volta, «notò dei piccoli personaggi in blu, il colore roseo della sabbia e, infine, la preziosa prateria della piccolissima area di muro gialla (). Così avrei dovuto scrivere si disse. I miei libri sono troppo secchi, ci voleva più colore, bisognava rendere più preziosa la mia frase, come quella piccola ala di muro gialla (). In una celeste bilancia gli apparvero, su uno dei piatti, la sua vita; sull'altro la piccola ala di muro così ben dipinta in giallo. Egli sentiva d'aver dato incautamente la prima per la seconda».

Per Proust, quella dedizione anche al più piccolo particolare, «rifare cento volte un pezzo - come la piccola ala di muro gialla dipinta con tanta abilità e raffinatezza da un artista sconosciuto, appena identificato sotto il nome di Vermeer - destinato a suscitare un'ammirazione che importerà ben poco al suo corpo mangiato dai vermi», era come la prova «di un'esistenza anteriore, un altro mondo fondato sulla bontà, lo scrupolo, lo spirito di sacrificio; un mondo interamente diverso dal nostro e di dove usciamo per nascere a questo, e nel quale ritorneremo forse a vivere sotto l'imperio di quelle leggi ignote cui abbiamo obbedito perché ne rechiamo in noi l'insegnamento, senza sapere chi le abbia formulate: quelle leggi cui ci ravvicina qualsiasi lavoro profondo d'intelligenza e che rimangono invisibili soltanto (e non soltanto) agli sciocchi».

In realtà, il muretto di Vermeer è visibile solo agli occhi di Proust, è il suo muretto...

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