Massimo Cellino, 54 anni, è uno dei presidenti da più tempo in plancia, nella serie A. Dal 92 è proprietario del Cagliari, più longevi solo Giampaolo Pozzo (Udinese) e Silvio Berlusconi (Milan), con 25 stagioni.
Presidente, nella crisi del calcio italiano, qual è il problema principale?
«Troppe squadre professionistiche, come in nessuna parte del mondo. Le 90 in Lega Pro impongono costi elevati per le società, con aspettative minime e zero possibilità di rientro economico. Quello sarebbe un calcio amatoriale, è vestito da professionismo. Già la serie B è ridimensionata, ha valori da Prima Divisione, il resto dovrebbe diventare dilettantismo».
Addirittura. Perché allora non si riduce il numero dei club?
«Per legoismo dei presidenti. Mario Macalli ha il 20% dei voti in consiglio federale, sforbiciando 15-20 formazioni peserebbe di meno. Figc e Lega confondono i ruoli: la federazione dovrebbe gestire la giustizia sportiva, essere come il ministero di riferimento, invece le politiche sono volte ad accaparrarsi voti, anziché per una programmazione propeuditica al sistema. Tra presidenti si creano le contrapposizioni, così il calcio è paralizzato».
La divisione dalla B non è servita?
«I presupposti erano diversi. Si sperava di ottimizzare la velocità imprenditoriale, invece il primo anno è stato di transizione, con assetti dettati unicamente dalla divisione del denaro, in base alla legge Melandri sui diritti tv. Sono rimaste strutture vecchie, i colleghi devono superare personalismi e miopia».
Davvero le 5 grandi praticheranno lembargo nei confronti delle altre 15?
«A me non interessa. Dal Cagliari hanno sempre comprato poco, eppure abbiamo un conto economico corretto. Anzi, meglio se non mi rompono le scatole. La cessione adesso è un fatto eccezionale per lequilibrio finanziario, le cinque sorelle sono rimaste alla mentalità di 20 anni fa, quando se una società periferica non vendeva il campione rischiava la sopravvivenza. Cavolate».
Tommaso Ghirardi lamenta un -20 milioni in quattro anni e mezzo al vertice del Parma, lei quanto ci ha rimesso?
«Presi il Cagliari per hobby, fatturava 19 miliardi e ne perdeva mezzo. Ora è diventato società per azioni, ha numeri importanti, la razionalizzazione produce reddito, con immobili e centri sportivi. Non perde, non necessità più di apporti del socio. E ora farò uno stadio nuovo per creare positività economica, il modello da sempre auspicato».
Dove sorgerà?
«A Elmas, appena fuori Cagliari, a 5 dal mio ufficio. Avrà 23mila posti. Ho comprato il terreno e versato già un acconto per la costruzione. Il problema è la legge di sviluppo immobiliare, che aumenta i costi di urbanizzazione di unarea molto vasta e rallenta i lavori: dai 30 milioni ipotizzati siamo già a 40; tra un anno dovremmo già lasciare il SantElia».
Davvero accarezzò lidea di tenere fermo un anno Allegri, impedendogli di vincere lo scudetto con il Milan?
«Sì, avevo cercato di irrigidirmi. Poi per il rapporto buono con Galliani e il presidente feci buon viso a cattivo gioco. Sarebbe stato come tenere la fidanzata che non ti vuole bene, era controproducente».
Accade spesso che un tecnico sotto contratto sia liberato per passare a una società più ambiziosa.
«Però da un pluriennale non dovrebbe uscire gratis, occorre serietà reciproca. Se trova unalternativa migliore, perlomeno paghi una penale. Cambiandoli li devo pagare lo stesso. E quando se ne vanno loro, manco mi salutano».
Roberto Donadoni ha voluto il biennale?
«Arrivò a novembre, glielavevo concesso io. A fine campionato non ha chiesto niente».
Non come Leonardo che, riconfermato, è andato via.
«Moratti laveva preso per tamponare la situazione Benitez, adesso è stato beffato da uno scherzetto antipatico.
Lei sino a quando terrà il Cagliari?
«Finché uno non verrà a levarmelo. Ne sono ostaggio, ma affezionato. Nel 2005 partii per lAmerica e non trovai acquirenti».
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