Il vero obiettivo di Santoro: prendere il posto di Vespa

Il conduttore lo chiese nel 2002, dopo il veto di Saccà a uno «Sciuscià» con Costanzo

da Roma

Michele Santoro irrompe sui teleschermi, indossa il suo abito più drammatico e reclama a gran voce «il mio microfono», ovvero un programma di approfondimento firmato e condotto da lui. Il «grande epurato» torna così a far discutere e a calcare le scene di un’azienda che, al contrario di quanto qualcuno crede, non ha mai impugnato il suo contratto né lo ha mai licenziato. Il giornalista salernitano, infatti, è stato «riassunto» da Viale Mazzini - proveniente da Mediaset - il 14 aprile del 1999 a tempo indeterminato con la qualifica di direttore giornalistico ad personam nell’ambito della Divisione TV Canali 1 e 2 presso Raiuno. Lo stipendio, nell’ultimo anno in cui Sciuscià andò in onda, era di 762.650,86 euro pari lire 1.476.697.980: una cifra corrispondente a uno stipendio mensile di circa 184.587.000 di vecchie lire, visto che la trasmissione durò otto mesi.
Al di là della sua situazione contrattuale, quel che è certo è che la sua permanenza in Rai è passata negli ultimi tre anni attraverso un sentiero costellato di polemiche, provvedimenti disciplinari, ricorsi, udienze e ordinanze giudiziarie. Queste le tappe della vicenda. Nel maggio 2002 il dg Agostino Saccà boccia l’idea di una doppia conduzione Santoro-Costanzo di Sciuscià Edizione Straordinaria. Santoro ospita comunque Costanzo, il quale dice che «a Mediaset c’è più libertà che in Rai». La direzione generale apre un’istruttoria interna. A luglio dello stesso anno va in onda una puntata di Sciuscià dedicata alla crisi idrica in Sicilia. Il presidente della Regione, Salvatore Cuffaro annuncia che adirà le vie legali contro Santoro. Passano un paio di settimane e Saccà invia una lettera di richiamo a Santoro il quale ha 5 giorni di tempo per inviare le sue «controdeduzioni». A settembre Saccà afferma: «La verità è che Santoro insiste per riproporre Sciuscià, ma nessun direttore di rete vuole il suo programma». Da lì a poco Paolo Ruffini si dice disponibile ad accoglierlo sulla terza rete ma chiede un aumento del budget. Il primo ottobre Saccà annuncia un nuovo richiamo nei confronti di Santoro che nel frattempo lavora al programma «Donne». Il 15 ottobre Santoro viene sospeso per quattro giorni dal lavoro e dalla retribuzione. Il giornalista, però, presenta un provvedimento d’urgenza al Tribunale di Roma. Il 9 dicembre 2002 arriva la prima sentenza. Il Tribunale del Lavoro stabilisce che la Rai deve adibire Santoro «alla realizzazione e alla conduzione di programmi televisivi di approfondimento». Santoro annuncia che porterà i suoi fans in piazza. La Rai: «Il giudice non ha imposto che Santoro debba rifare il programma Sciuscià» e ha anche respinto le altre richieste avanzate da Santoro». Il 3 giugno 2003 arriva la prima sentenza del giudice Massimo Pagliarini che intima la Rai di affidare a Santoro «un programma di attualità» in prima o seconda serata. Il dg Flavio Cattaneo replica: «Singolare che l’ordinanza entri in questioni prettamente editoriali». Il 24 giugno il cda Rai chiede a Santoro di fare tre proposte di programmi. Due giorni dopo il giornalista chiede di «sostituire Bruno Vespa per tutto il periodo estivo; riprendere l’attività ad ottobre con una serie di reportage in seconda serata». Oppure «riprendere su Rai Due, in prima serata, la programmazione di Circus o realizzare un programma che si alterni a Ballarò». Marcello Veneziani commenta: «Sono richieste di chi non vuol tornare». Il 17 luglio il tribunale rilancia e chiede di affidare a Santoro «la conduzione del programma Circus, in prima serata su Rai Due». Ma il 24 luglio il Tribunale collegiale di Roma revoca l’ordinanza.

Il 26 gennaio 2005 il giudice Stefania Billi dispone che Michele Santoro debba essere reintegrato in programmi di prima serata o reportage di seconda serata. La Rai viene condannata anche al pagamento di oltre un milione 400 mila euro. L’azienda annuncia ricorso contro la nuova sentenza.

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