Roma - Il sasso nello stagno l’ha gettato una settimana fa Roberto D’Alimonte. Nella sua rubrica sul Sole 24 Ore ipotizzò due scenari per il Senato in caso di elezioni anticipate. In entrambi i casi l’affermazione del centrodestra avrebbe determinato una maggioranza netta: 35 seggi di vantaggio nella migliore delle ipotesi, 11 in quella peggiore.
Da quella data, visti i margini strettissimi per un esecutivo a tempo, sui tavoli delle segreterie di partito si sono affastellati sondaggi e simulazioni finalizzati anche a tenere alto il morale delle truppe nel loft. «Tutto è possibile, anche un pareggio a Palazzo Madama», ha dichiarato Stefano Ceccanti, costituzionalista vicino a Walter Veltroni.
Ma le cose stanno veramente così? Il centrodestra, in caso di vittoria, dovrebbe rincorrere transfughi e senatori a vita come ha fatto Prodi? Rispondere d’emblée non è semplice, ma si può prefigurare comunque una navigazione più tranquilla. Basta partire dai sondaggi tradizionali: gli istituti demoscopici assegnano alla rinata Cdl un vantaggio compreso tra i 10 e i 15 punti percentuali. Se a Montecitorio ciò è sufficiente a garantire il premio di maggioranza nazionale, a Palazzo Madama il meccanismo cambia perché i premi si assegnano su base regionale.
Qui scattano tutte le congetture, avallate anche da un sondaggio pervenuto a Walter Veltroni secondo il quale la Cdl potrebbe fermarsi a quota 153 mentre il Pd potrebbe raggiungere quota 139 fiancheggiato dalla Cosa rossa a 18 senatori insieme con i 3 della Südtiroler Volkspartei. Di qui la corsa alle Regioni in bilico come le piccole Liguria, Marche, Basilicata e Calabria e l’istinto a giocare a viso aperto nel Lazio.
Il pallottoliere del loft deve tenere conto di due postulati: in primis la volontà veltroniana di «correre da soli». In secondo luogo, la stessa legge Calderoli che impone alle liste non coalizzate nella corsa al Senato una soglia di sbarramento dell’8% su base regionale. Che cosa potrebbe succedere? Senza l’apporto di comunisti, Sd e Verdi non solo la roccaforte Toscana diventa più sguarnita (Ds e Margherita insieme nel 2006 ottennero il 41% contro il 38,7% della Cdl), ma in Emilia si prefigurerebbe il testa a testa (Pd 39,9% contro il 40,6% della Cdl). Idem per Marche e Liguria dove il premio di maggioranza vale soli due seggi.
Anche riappropriarsi del Lazio potrebbe essere un’impresa impossibile visto che nel 2006 il centrosinistra lì fu sconfitto, mentre in Campania, senza l’Udeur di Mastella, sarà molto difficile ripetere l’exploit delle ultime elezioni. Va detto che l’attuale legge elettorale consente un escamotage, ovvero la desistenza. Ma saranno Prc, Pdci e gli altri disposti a sacrificare la loro presenza immolandosi sull’altare veltroniano? Molto più semplice conquistare, pur se sconfitti, i seggi liberati dalla Cosa rossa laddove non riesca a superare l’asticella dell’8 per cento.
Ci sono infine due variabili da considerare in questi calcoli ipotetici, ovvero la formazione di nuove realtà politiche, come descritto da un sondaggio pubblicato ieri da Repubblica. Se nascesse la Cosa bianca centrista mettendo insieme Udc, Udeur, Ld, Pezzotta e forse anche l’Italia dei valori, l’aggregazione, secondo Ipr Marketing, potrebbe raggiungere il 10% sottraendo più consensi alla Cdl, ferma al 46% che al Pd bloccato al 43. Anche in questo caso la coalizione che si piazza prima, ottiene il premio di maggioranza e con il 46% dei voti, la Cdl prenderebbe il 55% dei seggi.
Ancor più esiziale per i Veltroni-boys sarebbe la nascita di liste indipendenti e anti-politiche sull’onda dei meetup di Beppe Grillo.
Tale raggruppamento, potenzialmente al 7%, eroderebbe voti quasi esclusivamente a sinistra. Certo, bisogna affrontare la campagna elettorale e il giudizio delle urne, ma un centrodestra in grado di giocare bene le proprie carte sembra in grado di riuscire a conseguire una maggioranza stabile.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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