Un vescovo attacca l’islam: vince con la violenza

«Il Corano ordina di imporre la religione con la spada e dà al musulmano il diritto di uccidere i cristiani con la guerra santa». A scrivere queste parole è monsignor Raboula Antoine Beylouni, vescovo di Curia di Antiochia dei Siri, in Libano, nell’intervento consegnato al Sinodo sul Medio Oriente ormai alle ultime battute in Vaticano. Parole dure, quelle del vescovo libanese, che devono aver creato qualche imbarazzo Oltretevere, dato che l’intervento è stato prima pubblicato integralmente sul Bollettino del Sinodo diffuso ieri mattina dalla Sala Stampa vaticana, ma la sintesi messa poi in pagina da L’Osservatore Romano è risultata purgata proprio dei passaggi più accesi. Parole, e anche questo è significativo, che hanno provocato da parte islamica sia reazioni negative dell’Ucoii e dell’università Al Azhar del Cairo, sia la comprensione del movimento dei musulmani moderati.
Beylouni ha affermato che «il Corano permette al musulmano di nascondere la verità al cristiano e di parlare e agire in contrasto con ciò che pensa e crede. Il Corano dà al musulmano il diritto di giudicare i cristiani e di ucciderli con la Jihad (guerra santa)». Il vescovo ha aggiunto che il testo sacro dell’islam «ordina di imporre la religione con la forza, con la spada. Per questo i musulmani non conoscono la libertà religiosa, né per loro né per gli altri. Non stupisce vedere tutti i Paesi arabi e musulmani rifiutarsi di applicare integralmente i diritti umani sanciti dalle Nazioni Unite». Ancora, il vescovo di Curia ha affermato che «il Corano inculca al musulmano l’orgoglio di possedere la sola religione vera e completa. Il musulmano fa parte della nazione privilegiata e parla la lingua di Dio, l’arabo. Per questo affronta il dialogo con questa superiorità e con la certezza della vittoria». «Nel Corano poi - ha aggiunto - non c’è uguaglianza tra uomo e donna, né nel matrimonio stesso in cui l’uomo può avere più donne e divorziare a suo piacimento, né nell’eredità in cui l’uomo ha diritto a una doppia parte, né nella testimonianza davanti ai giudici in cui la voce dell’uomo equivale a quella di due donne».
Certo, monsignor Beylouni ha anche dichiarato che «non dobbiamo eliminare il dialogo», come è vero che in un altro intervento al Sinodo ieri si è detto che i rapporti tra cristiani e musulmani «si sono deteriorati con le crociate». Ma non c’è dubbio che i suoi giudizi e le sue convinzioni, espresse senza giri di parole o precauzioni diplomatiche, sono destinati a far discutere. Anche perché un altro confratello di Beylouni, monsignor Flavien Joseph Melki, anch’egli libanese, nel suo intervento ha auspicato una riforma dei regimi teocratici dei Paesi arabi, dove «il fondamentalismo continua a inasprirsi». E ha detto che «a eccezione del Libano, i circa quindici milioni di cristiani del Medio Oriente sono sottoposti da quattordici secoli a molteplici forme di persecuzione, di massacro, di discriminazione, di sopruso e di umiliazione». Ha chiesto che non si attenda la scomparsa dei cristiani «per alzare la voce e reclamare con forza libertà, uguaglianza e giustizia per queste minoranze religiose minacciate nella loro sopravvivenza», invocando l’aiuto della Chiesa universale e dai Paesi democratici affinché facciano pressione «a tutti i livelli, sui regimi che ledono i diritti inalienabili della persona umana, per spingerli a riformare le loro leggi, ispirate alla Sharia islamica».
Le parole sul Corano del vescovo Beylouni sono state criticate da Hamza Piccardo, portavoce dell’Unione delle comunità islamiche in Italia (Ucoii), che le ha definite «false accuse», dato che «le guerre ci sono sempre state e ogni volta ci sono state persone che hanno cercato di dare interpretazioni delle sacre scritture funzionali a queste guerre».

Di «falso» storico parla anche uno dei ricercatori dell’università egiziana di al-Azhar, la più prestigiosa del mondo musulmano. Ma va segnalata anche la reazione del Movimento dei musulmani moderati, che ha accolto le parole del vescovo richiamando la necessità per i Paesi islamici «di riconoscere e attuare la libertà religiosa».

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