Vezzi e vizi, che disastro i genitori di sinistra

Ecco le quattro (amare) sorprese che mamme e papà dal buonismo facile rischiano di trovarsi dentro casa

I genitori di sinistra sono genitori che fanno danni. Peggio di Pollon combina-guai, il cartone animato con la biondina che mette sottosopra l’Olimpo. Animato da una buona volontà al limite del pedagogismo evangelico, convinto che il buonismo sia una missione da trasmettere all’adolescente che gioca alla Playstation, il genitore di sinistra produce disastri. Non lo fa apposta, ma lo fa. Nel caso che ci interessa, produce figli un po’ spostati: alcuni picchiatelli, altri nemici metafisici di papà e mamma, altri ancora tutte e due le cose insieme.
Siamo arrivati al trentennale di Porci con le ali, i Rocchi e le Antonie d’oggi hanno sempre a che fare con lo stesso personaggio: il padre e la madre di sinistra doc, certificati progressisti. Epperò incapaci di comunicare. Due sinistre che si guardano in cagnesco da un lato all’altro del tinello, due Internazionali a confronto. Rocco e Antonia andavano al «Mamiani», e pure Silvio e Valentina, i protagonisti di Come te nessuno mai, il must mucciniano del 1999 sull’eterna crisi familiare. Scarsa originalità ma nuda sincerità: anche qui non si comunica, e così Gabriele, il Muccino-grande, fa i conti con Silvio, il Muccino-piccolo, cresciuto a pane, Nutella e «Mamiani» in un esercizio di «ecumenico sinistrismo moderato, nostalgico e liceale» (parole su www.dvd.it).
I genitori di sinistra non capiscono e non s’adeguano. Men che mai l’ultradepressa Laura Morante e l’eterno insoddisfatto Fabrizio Bentivoglio, in parole povere due lettori-tipo di Repubblica, alle prese con Nicoletta Romanoff, la figlia superficiale che da grande vuole fare la velina in Ricordati di me (2003), a suo modo ritratto del fallimento del Sessantotto trentacinque anni dopo. Sognavo la rivoluzione e mia figlia sogna i pacchi di Bonolis, bella fregatura.
Qui di seguito, quattro amare sorprese che il genitore di sinistra può ritrovarsi dentro casa. O, più spesso, fuori (retta di mantenimento esclusa).

IL FIGLIO-TALE-E-QUALE
Riproduce quasi meccanicamente vezzi, pregi e vizi della genitorialità progressista. Il prototipo è la Margherita Rossi Chaillet del paolovirziano Caterina va in città (2003). Stenio Solinas aveva stanato i difetti dei genitori di destra, «melassa retorica dell’impegno, dei sacrifici, dei buoni voti...». Ma il ritratto della famiglia di Margherita, con appartamento di mamma a Piazza Farnese, è atrocemente esatto. Il padre è un barone dell’accademia letteraria che s’è messo con l’assistente e, pur canuto e stanco, ha fatto un bebè e dunque non si fila più la figlia. La madre è l’editor di una casa editrice alle prese con l’eterno esaurimento, Michele Placido e Roberto Benigni (peggio gli ultimi due). Sfumazza per casa, non sia mai che cucini. E non ha libertà d’accesso alla stanza di Margherita: che beve, si tatua, si fa le canne eternamente scontenta e già pronta per l’analisi collettiva di Massimo Fagioli, si veste come un sacco di patate con la kefia, fa i girotondi e legge Sergej Esenin (il che spiega tante cose), è insomma a tredici anni la prefigurazione di un parlamentare dei Ds.

IL FIGLIO CAMERATA
Non ne può più del genitore impegnatissimo tra raccolte di firme per Amnesty International e seminari sul berlusconismo come infezione democratica, De Gregori e soprattutto Vecchioni gli stanno sulle balle e Che Guevara pure: perché sono i miti di mamma e papà, roba che puzza di naftalina. Così fa l’opposto, e si trasforma in quello che negli anni Novanta si chiamava «fasciobar»: genericamente di destra, ribellismo da curva, estetica Ray Ban. La sconfitta del genitorismo di sinistra è stata tratteggiata l’anno scorso da Roberto Cotroneo, che s’è appostato davanti a un liceo romano per scoprire che «i ragazzi tra i 13 e i 15 anni si dichiarano, spesso e volentieri, di destra, e qualcuno dice di essere fascista». Ma non solo: «Sono di destra anche quando vengono da famiglie di sinistra» ovvero «gente cresciuta nel fallimento della politica, e nell’idea che se esiste Berlusconi qualche fallimento nelle idee di sinistra dei propri genitori deve esserci». Particolare non secondario: Cotroneo, che a Roma abita dalle parti di piazza Caprera dove scrive i suoi libri, si era appostato davanti al «Giulio Cesare», lo stesso liceo dove venticinque anni prima per Venditti Marx e Nietzsche si davano la mano. Qui Nietzsche dà la mano a Paolo Di Canio e Cotroneo parla di suo figlio che, al pari dei pargoli di tanti suoi amici di sinistra, è una specie di pop-fascista del 2006, che si scarica la suoneria di Faccetta nera.

IL FIGLIO-NAZI-DISPERATO
È il Martino Bux immaginato da Mario Desiati in Vita precaria e amore eterno (Mondadori, 2006). Famiglia di Castiglioni, sicilianissima e immigrata dalla «landa di “nisciuni”» al Laurentino 38, con la madre matta e stretto da una morsa micidiale: il padre, attivista del Pci eternamente animato dalle buone intenzioni e comunque disilluso, e l’amata fidanzata, Toni Farnesi, di famiglia borghese, rappresentazione del più insopportabile moralismo no global che Bux vorrebbe sodomizzare ma non ci riesce. Il povero Martino prima diventa un «Houellebecq di Tor di Quinto», un fascista per sfida che fa il saluto romano perché «più è volgarmente proibito più è lecito», poi appende una bandiera americana in mezzo agli arcobaleni della pace a San Lorenzo, poi scopriamo che è scimunito dall’inizio del libro. Per forza, in una situazione come questa, tra padre, fidanzata e call center.

IL FIGLIO-IMMUNO-REPRESSO
Cresce accumulando una marea di frustrazioni non riconosciute. Il documento più interessante di questo stato d’animo è La ballata delle prugne secche di Pulsatilla (Castelvecchi, 2006), scoperta dal rabdomante di talenti Alberto Castelvecchi, che fugge da Foggia e si dirige prima a Milano e poi a Roma. Principessa dei blog, di Pulsatilla si capisce tutto a pag. 11: «Crescere in una famiglia di sinistra significa avere genitori piuttosto giovanili, e avere genitori piuttosto giovanili, nel novanta per cento dei casi, significa avere a che fare con due incapaci». Il padre le mostra un preservativo a dodici anni per garantire una formazione «non sessuofoba», la madre prima la spinge alla colonia estiva e allo scoutismo, poi al «consumo critico» che sfocia «in aperto girotondinaggio». Niente televisione.

Lo straordinario viaggio pulsatilliano, distillato di sociologia generazionale in mezzo ai feticci contemporanei, dal sesso alla cosmetica, dagli elenchi in latinorum dei piselli a quelli dei fidanzati, dalle gag irresistibili ai motti del tipo «la cellulite è come la mafia. Non esiste», mostra sempre la strafottenza di quella che non si diverte mai, che c’è una Foggia in ogni città. Con quei genitori così, tutto il resto è noia.

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