«Vi insegno lo swahili, capirete l’Africa»

«In città non esisteva ancora un corso del genere. Credo sia molto utile, provare per credere»

Marina Gersony

«Sono nata alle falde del Kilimangiaro. La mattina la prima cosa che facevo appena alzata, era di salutare la Principessa, così dalle nostre parti chiamiamo il vulcano. Se è coperto dalle nuvole la giornata si preannuncia negativa. Se invece splende il sole, tutto procederà nel verso giusto». Judith Raymond Mushi è nata il 16 maggio 1974 in Tanzania. Ha un sorriso dolcissimo, la corporatura piena e materna di chi è sempre pronto ad accogliere il prossimo e uno sguardo che indica determinazione e forza di volontà. Nella sua vita, pur essendo ancora giovane, ne ha già viste di cotte e di crude. Oggi vive a Milano, è sposata con un italiano e ha appena organizzato il primo corso di swahili in città, la lingua più parlata in Africa.
Cosa ricorda della sua famiglia?
«Appartengo alla tribù dei chagga, famosa in Tanzania per la sua forza e intraprendenza. La mia famiglia è cattolica, siamo sei figli, io sono la quinta. Mio padre se ne è andato per sposarsi con un’altra donna quando stava per nascere l’ultima sorella. Da noi la poligamia è un dato di fatto».
Sua madre come l’ha presa?
«Si è rivolta al Tribunale per chiedere il divorzio. Uno scandalo! Nessuna donna osava arrivare a tanto. Ci ha cresciuti da sola e ci ha fatto studiare. Lavoravamo nelle piantagioni di banane e caffè, avevamo un allevamento di polli, vacche e maiali e andavamo a scuola. Nostra madre aveva pochi principi ma saldi: pregare, lavorare e studiare. Siamo cresciuti così. Era una vita dura, ma almeno non pativamo la fame rispetto alla maggior parte della popolazione».
E poi?
«Due fratelli, una sorella e io siamo riusciti ad arrivare all’università. Io mi sono laureata in sociologia con una specializzazione in lingua swahili. Poi ho fatto un master a Johannesburg in cultura e sviluppo. Da lì ho iniziato a lavorare per l’Unicef nei villaggi, dove ho conosciuto diversi medici italiani. Loro facevano ricerche sulla malaria, io sul cibo. Si era creata una bella collaborazione. Cominciai ad appassionarmi alla cultura e alla lingua italiana ma anche alla biodanza. Fu proprio questo interesse che mi portò a Milano dove in occasione di uno stage conobbi mio marito, un siciliano “milanesizzato” che lavora all’Istituto dei tumori come tecnico di laboratorio. Dopo tre anni di fidanzamento ci siamo sposati.
Aveva dei progetti?
«Mi sono recata a Torino all’International Labour Organisation (Ilo) con l’idea di creare un centro culturale dei Paesi anglofoni in Africa per gli italiani che lavorano in Tanzania, Kenia, Ruanda, Burundi e non solo. Non esiste un punto di riferimento per trovare le informazioni, il supporto per i viaggi e così via. Purtroppo è un progetto ambizioso che richiede molti investimenti. Ho quindi pensato di iniziare insegnando lo swahili, la lingua più importante dell’Africa bantu, parlata da oltre 80 milioni di persone. A Milano finora non esisteva un corso del genere».
Dove si svolge?
«Per ora al Circolo Arci Bellezza, dove mi hanno gentilmente ospitata per svolgere le mie lezioni. Lo swahili è facile da imparare.

Inoltre, in tempi di globalizzazione, è utile da sapere: favorisce lo sviluppo della cooperazione internazionale, le relazioni commerciali e serve agli operatori dei settori nei rapporti con le amministrazioni locali. E poi è una lingua bellissima, molto musicale. Provare per credere».

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