Cultura e Spettacoli

"Vi presento il maggiordomo che ci fa da social psicologo"

Sir Tempia dialoga ogni giorno sulla sua pagina Facebook con Lloyd, saggio domestico immaginario in grado di farci scoprire nobili e deboli

«La sua notte insonne, sir». In effetti, quella notte di Simone Tempia, come molte altre, era stata insonne. Però proficua: al mattino, quando si alzò, scrisse quella frase e fece nascere un personaggio di cui molti desidererebbero la compagnia. Il maggiordomo Lloyd. Lloyd è il maggiordomo, Sir il padrone di casa e fra i due, ogni giorno, si svolge un dialogo: poche battute fulminanti, che dal 2014, da quella notte insonne, Simone Tempia pubblica sulla sua pagina Facebook, Vita con Lloyd, che è diventata un fenomeno sul web e anche in libreria. I numeri: 417mila follower su Facebook, più o meno cinque milioni di visualizzazioni al mese, 162mila follower su Instagram, tre libri che hanno venduto in tutto circa centomila copie: Vita con Lloyd, In viaggio con Lloyd e Un anno con Lloyd, illustrati da firme come Tuono Pettinato, Gianluca Folì, Francesco Chiacchio. E ora, dopo la nascita del figlio Timoteo, delle «favole a rovescio», ovvero le Storie per genitori appena nati (Rizzoli Lizard, come gli altri suoi libri), destinate... beh, ai genitori di oggi, fra dentini, dottori, vestitini da comprare, ansie da gestire, sensi di colpa e stanchezza cronica. Simone Tempia, ciuffo, occhiali e grandi baffi, è nato nel 1983 a Cossato, provincia di Biella, «la zona che ha dato i natali a Ezio Greggio e ad Alberto Gilardino», e per amore si è trasferito in un paesino di 4mila anime nel Bergamasco «perché, come dice Bruno Bozzetto, è più facile spostare le Orobie delle Orobiche». La vicinanza di Gilardino non ha avuto influenza sulla sua passione calcistica: «Ho praticato tutti gli sport possibili, ne leggo volentieri, ma guardare una partita mi annoia...».

Simone Tempia, quindi lei è Sir nell'animo?

«Certo. Mi sono fatto un maggiordomo immaginario perché uno vero non potevo permettermelo. È una espressione di grandeur».

È uno vecchio stile.

«Molto. Mi hanno scongelato tempo fa. Del resto l'età è irrilevante, soprattutto di questi tempi».

Come è arrivato a Lloyd?

«A quattordici anni ho deciso che da grande avrei fatto lo scrittore, così mi sono messo a scrivere per sei ore al giorno, tutti i giorni: dovevo trattarlo come un mestiere. Insomma scrivevo, scrivevo, con l'energia e la sconsideratezza con cui da giovane si insegue un sogno, e cercavo di farmi pubblicare qualcosa, ma non mi pubblicavano mai».

Lloyd l'hanno pubblicato.

«Avevo 34 anni quando ho pubblicato Vita con Lloyd. Ne avevo già passati venti a fare cose non pubblicate. A vent'anni ho creato una rivista letteraria offline; ho trascorso sei mesi da stagista a Dispenser di Radiodue, di cui ero fan; poi ho iniziato a collaborare con Vogue. Anche se sognavo Linus. E ho continuato a scrivere racconti e narrativa, sempre tutto bocciato. Finché, nell'ottobre del 2014, dopo aver dormito male, una bella mattina ho scritto: La sua notte insonne, Sir.... Mi sono ispirato al dialogo fra Jack Torrence e il barista Lloyd in Shining».

Dove l'ha scritto?

«Sul mio profilo privato. Fra i miei amici ha abbastanza successo, così scrivo un altro dialogo, poi un altro, e infine apro la pagina Facebook, con un'idea: pubblico un dialogo al giorno, cinque volte a settimana, tutti i mesi per tutto l'anno e vediamo fra cinque anni che cosa succede. Perché, come dice Warren Buffett, se non hai il coraggio di investire in un asset per dieci anni, non investirci neanche per dieci minuti».

I suoi dialoghi vengono visti cinque milioni di volte in trenta giorni. Come fa?

«E non ho mai speso un euro in sponsorizzazioni. Sono tutte persone che hanno letto qualcosa, l'hanno condivisa e hanno deciso di seguire Vita con Lloyd. Pubblico alle 7 del mattino e c'è chi alle sette arriva e legge. Per esempio, il dialogo di questa mattina è stato visto da cinquecentomila persone».

È sempre insonne?

«Di notte non dormo perché penso. Non commento mai l'attualità».

«Lloyd, che fine hai fatto?» «Mettevo ordine tra i suoi pensieri, Sir». «Lo sai che non avrò mai la testa a posto!» «Ma potrebbe avere posto nella testa, Sir». «Per avere altri pensieri?» «O per dare spazio a chi li merita, Sir». Dove prende tutta questa saggezza?

«I dialoghi vengono dalla mia vita. Mi corico presto e passo tanto tempo a pensare, non ho paura delle mie debolezze, le osservo e cerco di capire perché; non perché abbia quelle debolezze, bensì perché le consideri tali... C'è una tendenza a usare una frase nelle nostre vite, farsi rimbalzare addosso le cose, minimizzare e, a forza di farlo, c'è un pavimento di cose appuntite e dolorose, frammenti di sogni su cui camminiamo scalzi e ci procuriamo ferite, giorno dopo giorno».

Lei non si fa rimbalzare le cose?

«No. Le osservo, le prendo in mano, le guardo, a volte ammetto di essere debole, o forte, a volte faccio ironia, a volte no, nel rispetto del mio sentire, perché quello che accade è importante perché ci forma, ci rende ciò che siamo, benché illusi di essere certezze scolpite nella pietra, mentre io sono più creme caramel, e non dico che sia un bene, ma non me ne vergogno nemmeno».

Chi è Sir?

«Ah, beh, Sir sono io. È la versione un po' più intelligente, consapevole e posata di me».

E Lloyd?

«Lloyd non sono io, sono gli occhi degli altri, i migliori, che vedono ma non giudicano. È il punto di vista esterno, il cambio di prospettiva della psicoterapia».

Lloyd è un po' terapeutico?

«Presso l'Università Kore, a Enna, è in corso una sperimentazione sui miei libri. Giovambattista Presti sta conducendo dei test per vedere se ci sia un impatto clinico per le persone che leggono Vita con Lloyd, al fine di capire se queste intuizioni possano essere riproposte e per studiare le dinamiche dei dialoghi ed eventualmente riproporle. Insomma per vedere se ci sia un principio attivo...».

Come sono fatti Lloyd e Sir?

«Come uno se li immagina. Sir siamo tutti, e Lloyd è di tutti. È un maggiordomo, una figura che ci vuole bene ma non è un parente, perché lo paghi: ti ama, ti protegge e cerca di conservarti ma è un tuo dipendente, ed è un maggiordomo vecchio stampo, un custode di eleganza, che ha il diritto di criticarti e di abbandonarti se prendi una china sbagliata, perché ha la sua dignità».

«Impegni per la prossima settimana, Lloyd?» «Essere felice, Sir». Lloyd non è mai volgare: una eccezione nel mondo social?

«I social sono il regno della volgarità se si trattano gli altri da stupidi, se si ritengono gli altri indegni del nostro meglio e quindi si danno loro cose basse, sciocche. Invece ti devi rapportare con gli altri dando il meglio di te».

Perché di solito succede il contrario?

«È il frutto della retorica che ritiene le masse stupide e la gente incapace di apprezzare le cose belle. L'idea di un'isola di buona educazione era in direzione contraria a ciò che tutti sostenevano funzionasse. Mi dicevano: Alimenta la discussione; ma io non l'ho mai alimentata, anzi. Chi gestisce una pagina Facebook è come un padrone di casa, e deve far sì che tutti si divertano: se c'è uno che imbratta i muri, lo lasci fare o lo accompagni alla porta?».

«Lloyd, ho qualcosa che mi rode dentro» «È la gastrite, Sir». Lloyd sembra buono, ma non è affatto buonista.

«Anzi. Lloyd è crudele. Il contesto di Lloyd è beneducato, ma il personaggio è gotico, malinconico, appartiene al mondo di Buzzati, di Monicelli, di Guareschi. Lloyd è spietato, e deve esserlo, perché fa luce sulle nostre miserie, puntualmente. Del resto, un trentenne che si inventa un amico immaginario è molto malinconico, come si vede nelle mie Storie per genitori appena nati».

Perché delle favole?

«C'è la vulgata che le favole siano innocue, cose da bambini, eppure esse sono, da sempre, il metodo con cui l'umanità piega l'imponderabile alla mente. La piccola fiammiferaia è innocua? I mondi delle favole sono popolati da streghe che cucinano bambini, lupi che divorano nonne, principi avvelenati: insegnano i grandi temi della sopravvivenza ai bambini».

Però le sue sono per adulti.

«Non cambia molto, tutta l'umanità ha fatto l'esperienza dell'infanzia. Io parlo al lato bambino, per vedere le cose da un punto dista diverso».

Perché «genitori appena nati»?

«Perché sono un papà conscio di un'altra grande bugia, quella contenuta nella frase sono pronto ad avere un figlio. Quando nasce un figlio, non solo biologicamente, nasce un genitore, poiché qualsiasi cosa uno potesse immaginare, non è quella, ed è per questo che servono le favole. Io racconto il genitore inadeguato verso se stesso, non verso i figli».

E la paura. Quella per cui si va dal «Dottor dimostramelo», costosissimo e inutile...

«Andare dal pediatra è un atto di fede. Di fronte alla fallibilità del medico, che cosa puoi fare? Devi trovare altre certezze».

Che cosa direbbe Lloyd della pandemia?

«Cosa vuole che dica? Cosa ne pensi, Lloyd? Io non penso, io osservo...».

«Siamo felici. Vero?». È questo il segreto di Lloyd, dubbio e ironia?

«Dubbio e ironia sono figli della stessa madre. Però Vita con Lloyd è un momento della giornata, un contesto, un contatto con se stessi».

Perché ha tutto questo successo?

«Non lo so. So che forse ho intercettato un bisogno di ammettere a noi stessi che possiamo essere nobili e deboli, educati e in balia delle nostre emozioni, che si può non essere sempre i protagonisti bulletti di una vita sotto i riflettori, senza per questo perdere valore. Ho smontato l'auto narrazione del vincente perché non mi sono mai sentito tale e credo che molti condividano questo sentimento».

I dialoghi sono sempre brevi.

«È perché non sono dotato di sintesi... quindi era indispensabile una gabbia. Massimo cinque battute. Ogni dialogo mi costa tre giorni di lavoro».

Sono più di sei anni, come trova temi sempre diversi?

«Passo tanto tanto tempo a pensare».

Lloyd la mantiene?

«No, io lo mantengo».

Ha scritto: «I miei baffi sono un valzer viennese... sono antenne per i segnali interstellari».

«Ho anche la barba. È una scelta ponderata, apprezzo lo stile di Nicola II di Russia. Il mio comunque è il baffo di Guareschi, un baffo contadino, non un baffo hipster, impomatato... E poi sì, i baffi sono antenne perché sono il metro di uno stato psicologico: se li taglio va davvero male male. È successo due volte negli ultimi 15 anni, ma poi sono sempre tornati».

È un fenomeno social, eppure è così d'antan.

«Sì, assolutamente. Però non sono nostalgico dei bei vecchi tempi, che spesso non erano affatto belli. Ho solo una leggerissima nostalgia di un certo senso di pudicizia collettivo. Quello mi manca».

Niente altro?

«Gli uomini con il pantalone non al malleolo. E sono un fiero possessore di un guardaroba senza jeans. Sono un po' ancien régime».

Eh... Ha comprato a suo figlio neonato una tutina fucsia.

«Adoro il fucsia, il fucsia Schiaparelli mi fa impazzire. Guardi che il rosa era considerato virilissimo, perché discende dal rosso».

Attraverso Lloyd fa anche un po' di autoterapia?

«Non sottoporrei mai i lettori a una mia terapia... I dialoghi non nascono quando ho un dubbio, come nel caso di Sir; nascono dal fatto che io rifletto, mi do una risposta, che si rivela sbagliata, e allora mi chiedo: perché ho fatto così?».

Quindi nascono dagli errori?

«Dagli errori o da prese di coscienza postume».

«Il senno di Lloyd».

«È tanto. Però è anche avvantaggiato...

».

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