Può la distilleria più anticonvenzionale della Charente sembrare la più sacra delle cattedrali innalzate al dio alambicco? Può l’«eretico» che ha portato il gin nel cuore della produzione dell’acquavite di vino diventare l’alfiere della tradizione, combattere per l’iscrizione della cultura del Cognac nel patrimonio Unesco e creare un museo dedicato a una gloriosa stirpe di produttori? E soprattutto, può un angolo quieto di campagna disseminato di concessionarie di trattori, vecchie Citroen e paesini sonnolenti nascondere aristocratici manieri dal fascino senza tempo?
Se non stessimo parlando del vulcanico Alexandre Gabriel e della sua Maison Ferrand, forse sarebbero troppe contraddizioni tutte insieme. Invece, per chi arriva a Château de Bonbonnet, una delle diverse «case degli spiriti» del gruppo, la sensazione è che qui ogni contrasto si risolva: la semplicità contadina e l’antica nobiltà, l’alterigia del distillato ancien régime per antonomasia e la voglia di contemporaneità delle nuove generazioni, il cocktail e lo spirito assaporato liscio, l’Europa e il nuovo mondo, il vino, il ginepro, il rum. Tutto si mescola come diverse annate in un blend.
Alexandre arriva qui dalla Borgogna a fine anni ’80, rilevando l’etichetta e lo stock di Pierre Ferrand, parente alla lontana di quell’Elie Ferrand che nella seconda metà dell’Ottocento aveva legato il suo cognome alla produzione di un Cognac di successo, ormai dimenticato. Dopo aver rilanciato il marchio, la prima idea controcorrente: produrre un gin artigianale, anche stavolta guardando al passato, ovvero alla cittadella di Dunkirk, dove nel XVIII veniva distillato il ginepro, giusto per il gusto di dar fastidio ai dirimpettai inglesi. Così, nel 1996, Alexandre è il primo ad ottenere il permesso di distillare anche dopo il 31 marzo, per legge ultimo giorno di produzione del Cognac.
Sceglie gli stessi alambicchi storici, detti charentais, e dà vita a Citadelle, uno dei pionieri della nouvelle vague del gin.
Oggi Citadelle viene distillato proprio a Château de Bonbonnet, in un edificio splendido e «cat friendly» che dal 2024 vanta anche un visitor centre che accoglie migliaia di turisti e un bar con i gin alla spina. Sotto gli archi e le strutture in metallo disegnate dallo studio Eiffel, nove alambicchi con l’iconico “duomo” dello chauffe-vin producono 600mila litri l’anno; poco oltre, nella «green house», crescono piante di agrumi ed erbe, mentre di fronte alla tenuta si distendono campi di ginepro. Sono alcune delle 19 botaniche naturali alla base di un gin che ha fatto la storia e che ora – tema ricorrente nella filosofia di Alexandre – sfida lo status quo con nuove ricette.
Il successo di Citadelle, però, non è stato immediato. A fine anni ’90 in Francia – come altrove – si bevevano solo gin dozzinali, così ad Alexandre era venuto in mente di commercializzare i barili in cui erano invecchiati i Cognac, vendendoli ai produttori di rum. Un colpo di fulmine ed ecco la terza idea spiritosa: selezionare barili di distillati di canna da zucchero da tutto il mondo, sottoponendoli a una doppia maturazione, nella zona tropicale di produzione e in Europa, nelle cantine intorno a Javrezac. Nascono così i rum Plantation, recentemente rinominati Planteray per prendere le distanze dal passato coloniale del rum. Selezioni che hanno rivoluzionato il mercato, diventando il primo business di Maison Ferrand e spingendo Alexandre a fare l’ennesimo salto in avanti: nel 2017 ha rilevato la West Indies Distillery a Barbados e le distillerie Long Pond e Clarendon in Giamaica, ed ora è anche distillatore.
Un ruolo che gli calza a pennello, a giudicare dall’entusiasmo con cui scorre le foto dei tini di fermentazione della melassa e dei filari di palme da cocco appena piantate per il suo Coconut rum, una delle originali creazioni dopo il rum infuso all’ananas e prima dell’ultimo nato Hogo Monsta, il rum con la più alta concentrazione di esteri di sempre.
Insomma, primo gin artigianale francese e uno stock di 45mila barili di rum fra Charente e Caraibi basterebbero a garantire ad Alexandre un posto nell’olimpo francese degli spirits, ma gli si farebbe un torto se si tralasciasse il grande lavoro che sta facendo per il Cognac. «Il bello del gin è rompere gli schemi, la magia del rum è nella fermentazione – spiega -. Il fascino del Cognac è nel suo know how». In una scena produttiva dominata dai quattro colossi (Hennessy, Remy Martin, Couvoisier e Martell) e costellata da piccolissime etichette, Maison Ferrand è un anello di congiunzione, nonché una delle poche realtà a curare in proprio tutte le fasi: si va dalla coltivazione di 150 ettari di vigneti di varietà Ugni Blanc e Colombard nelle zone di Grande Champagne (la più pregiata) e Borderies alla vinificazione e alla distillazione, che avviene nella Maison Réchou di Angeac, l’altra «casa degli spiriti»; fino alla maturazione, al blending e alla commercializzazione. Senza contare una parte che spesso si dimentica: la narrazione.
«Il liquido non parla, ma è come un quadro: se ti raccontano quel che c’è dietro, lo apprezzi meglio – sorride Alexandre, mentre orgoglioso ci presenta la sua “band”, come da bravo cultore di Frank Zappa chiama i suoi collaboratori -. La qualità da sola non basta: ho sempre cercato di produrre distillati diversi che facessero pensare». E senza dover arrivare al Legendaire, il Cognac invecchiato fra 50 e 80 anni che rappresenta l’apice della produzione, è senz’altro vero. Solo che invece di farlo con furore giacobino e iconoclasta, Alexandre la sua rivoluzione la porta avanti unendo l’originalità (la serie Renegade che usa anche barili di castagno, ciliegio o acacia vietati dal disciplinare) con un religioso rispetto del passato. Ed è proprio la passione per la storia che lo ha spinto a rilevare il Manoir de Mademoiselle, la tenuta del 1861 che dei Ferrand e dove fino a una decina d’anni fa l’ultima erede custodiva l’archivio di famiglia.
Qui, nella vera «casa degli spiriti» per antonomasia, in stanze sottratte al tempo come i profumi di un’acquavite vengono protetti e custoditi dai barili, è stato allestito un museo ed ha sede la Fondazione Ferrand che si batte per la valorizzazione della cultura del Cognac. E qui in futuro verranno piazzati altri alambicchi charentais, sfavillanti testimoni muti della rivoluzione di Alexandre Gabriel, l’uomo in grado di trasformare ogni distillato in un carnevale di creatività.