Politica

In viaggio dall’altro mondo per tosare le pecore italiane

Da Australia e Nuova Zelanda fino all’Abruzzo per fare un lavoro che i ragazzi locali snobbano. E i guadagni sono ottimi: fino a 1500 euro al giorno

Emanuela Ronzitti

da Roma

«Settembre. Andiamo è tempo di migrare. Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori lascian gli stazzi... E vanno pel tratturo antico al piano...». Versi di un D’Annunzio nostalgico che raccontano un antico mestiere che nessuno aspira più a fare. Quello del badante di pecore. Addio, quindi, ai pastori made in Italy, ma questo già si sapeva. Quel che più strano, è l’addio anche ai tosatori di lana.
A coloro che con rasoio alla mano, armati di santa pazienza e un gran bagaglio di esperienza, asportano via con destrezza e senza esitazioni, il vello delle pecore. Un mestiere che esiste da secoli di cui, però, se ne sono perse le tracce, perché è un lavoro che nessuno vuole più fare. Troppo disdicevole al giorno d’oggi. Da «pecorari». Ma ogni anno, alle porte dell’estate, scatta l’allarme su tutta la penisola. Migliaia di allevatori entrano in crisi perché non c’è più nessuno in Italia che sia specializzato in questo settore, che abbia la competenza e la volontà per dedicarsi alla tosatura del gregge. Per dirla con una parola moderna, che si occupi della toilettatura, indispensabile per liberare le bestiole dall’asfissiante manto peloso prima del loro trasferimento sui verdi altipiani. Una crisi, che gli addetti ai lavori in questi ultimi sei anni hanno tentato di tamponare rivolgendosi ad esperti d’oltre oceano. La maggior parte di questi sono targati Australia e Nuova Zelanda. Ma alcuni, arrivano anche dalla più vicina Inghilterra e dalla Francia. Approdano in Italia ad aprile e vanno via in questo periodo. Invadono i nostri pascoli, organizzati in squadre da non più di dieci persone. La chiamata arriva da una ditta italiana appaltatrice di mano d’opera che gli organizza la tabella di marcia lavorativa su tutto il territorio fornendogli, come se non bastasse, anche gli strumenti del mestiere. Arrivano armati di volontà. Si spostano con velocità su tutto il territorio, perché prima finiscono il lavoro e più clienti riescono ad accontentare. Una «transumanza» che parte dalla Puglia e dall’Abruzzo per poi attraversare il Lazio e la Toscana, senza dimenticare la tappa umbra e marchigiana. Per poi arrivare fin su a nord.
Gli esperti «toilettatori» non hanno rivali sul mercato italiano, lavorano sodo e senza intoppi, riuscendo a tenere un ritmo di lavoro che sfiora le mille pecore al giorno (1500 a dì, per quelle sarde, dal pelo più corto). Gli introiti, poi, non tradiscono le aspettative: le cifre si aggirano intorno ad un euro e cinquanta a pecora. E ne tosano una al minuto. «Per due giorni di lavoro, tre persone mi sono costate 1500 euro - racconta Gabriele Rossi, proprietario di un’azienda agricola nell’alto Vastese, in Abruzzo - più vitto e alloggio, ovviamente». Un guadagno di tutto rispetto, che garantirebbe un surplus economico stagionale. Ma i nostri giovani proprio non ne vogliono sapere di rispolverare gli antichi mestieri, considerati troppo démodé nel nostro belpaese. Al contrario, l’impiego è molto in voga in Australia, dove di toilettatori se contano più di 6mila. Ma a morire non sono solo i mestieri di un tempo. Insieme si stanno spegnendo anche le tradizioni campestri. La pastorizia, presente in Abruzzo da quasi tre millenni, dopo un primo crollo alla fine dell’Ottocento e una diminuzione sistematica per tutto il Novecento, sta morendo gradualmente.
Una volta erano centinaia i chilometri di tratturi che conducevano al pascolo verde, decine e decine erano le grandi vie battute dagli armenti nelle loro trasmigrazioni primaverili e autunnali. E che dire dell’immagine dei greggi che scendevano dalle pendici dei monti o attraversavano i grandi e solenni altipiani. Ormai un ricordo sbiadito. Eppure, i tratturi furono strade particolari e sotto molti aspetti, irripetibili. Erano una rete viaria a maglie strette che copriva in modo uniforme ed equilibrato tutto il territorio. Furono queste piccole strade tortuose a dettare in tutto il Mezzogiorno la legge dell’insediamento.

Purtroppo molte di queste strade sono state abbandonate, chiuse al transito della tradizione e alla storia del nostro paese.

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