La vicesindaco si mette il velo per i musulmani di via Padova

L’aveva detto e l’ha fatto, spaccando il secondo: alle 10 in punto Maria Grazia Guida mette piede sull’erbetta falciata del campo di via Cambini. Il capo velato da una pashmina rosso corallo. Accolta con un mazzo di fiori: «La aspettavamo da 30 anni» dice il direttore della moschea di via Padova, il giordano Mahmoud Asfa. La preghiera è appena finita e il vicesindaco ha di fronte a sé alcuni centinaia di musulmani: nordafricani e mediorientali per lo più. Bambini, uomini, alcune donne. Al suo fianco l’assessore al Welfare Pierfrancesco Majorino, il «ministro degli Esteri» dell’arcivescovo Dionigi Tettamanzi, don Gianfranco Bottoni, e l’ex presidente di commissione del Pdl Aldo Brandirali, amico storico della Casa islamica.
Asfa fa gli onori di casa: «Abbiamo l’onore di ricevere questa visita dopo un’attesa di 30 anni. Da tempo - aggiunge - chiediamo luoghi di culto degni e speriamo che con questa giunta il tempo sia finalmente maturo». «Sento che una nuova aria viene verso la nostra comunità», conclude.
La vicesindaco coglie l’assist: «La mia presenza qui vuole rappresentare il cambiamento d’aria in città», una svolta su cui «l’Amministrazione è unita», ha assicurato. Il concerto prosegue con don Bottoni, che porta il saluto del cardinale, e manifesta ai «fratelli e sorelle» che vivono un cammino religioso diverso, ma «figli dello stesso Dio», «forte ammirazione per la vostra fedeltà». Sul tema del dialogo si esercita anche Majorino, mentre ad Aldo Brandirali tutti riconoscono il copyright delle «moschee di quartiere».
E il tema è sempre quello. Sebbene oscurato dall’annunciata visita di san Giovanni Crisostomo, è a pochi chilometri che si consuma il passo più importante - perché imprevisto - quello del democratico assessore alla Sicurezza, Marco Granelli, che porta un «apprezzatissimo» omaggio all’Istituto culturale islamico di viale Jenner, anche a titolo di scuse dopo la polemiche del giorno prima, quando il direttore Abdel Hamid Shaari ha protestato per la meta scelta della Guida, considerandosi snobbato. In ogni caso sia gli uni (via Padova) sia gli altri (viale Jenner) hanno ripetuto la richiesta di luoghi di culto dignitosi in cui pregare. Ma quando la risposta è arrivata è stata una retromarcia. L’amministrazione comunale, infatti, ha annunciato ufficialmente di voler archiviare (o rinviare sine die) l’obiettivo della grande moschea che - la Guida lo ha ammesso chiaramente - «rischierebbe di mettere a repentaglio questo bel mosaico di pluralità» rappresentato dai vari centri esistenti. Un modo edulcorato per dire che un accordo non si troverà mai. E tutto sommato, nell’islam milanese, in realtà nessuno lo vuole. Non al prezzo della propria autonomia almeno.
L’ex vicesindaco Riccardo De Corato, attacca su tutta la linea, visite e moschee, e parla di «una sceneggiata che Milano non meritava», mentre per il presidente della Provincia, Guido Podestà, «desta molta perplessità il fatto che il Comune abbia concesso alla comunità musulmana l’utilizzo della Fabbrica del Vapore». La marcia indietro sulla grande moschea non sfugge a Lara Comi (Pdl), per la quale la sinistra dimostra che «ciò che è nero su bianco è in realtà carta straccia».

L’assessore provinciale alla Sicurezza, il leghista Stefano Bolognini, parla di una «carnevalata» e il collega Alessandro Morelli si chiede: «Il futuro delle donne milanesi è col velo?». Ma anche nel Pd il capogruppo Carmela Rozza avverte: «Se c’è un riconoscimento istituzionale - dice - va dato a tutte le comunità religiose presenti a Milano».

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