«Video violenti su animali? È libertà di espressione»

I video che mostrano atti di violenza sugli animali sono una forma di libertà di espressione protetta dal Primo Emendamento della Costituzione. Lo hanno stabilito, otto voti a uno, i giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti.
La Corte ha stabilito che il governo federale americano non ha la facoltà di mettere al bando espressioni di crudeltà sugli animali quando queste sono contenute in videocassette e altri media.
La sentenza revoca una legge federale approvata nel 1999 dal Congresso in un tentativo di proteggere gli animali da inutili atti di tortura. Hanno votato contro la legge tutti i giudici con il solo dissenso del giudice Sam Alito.
Scrivendo a nome della maggioranza il giudice capo John Roberts ha sottolineato che il verdetto non restringe i divieti di legge alla crudeltà sugli animali: «Per tali proibizioni c’è una lunga storia di precedenti nella storia americana».
Roberts ha però osservato che non c’è una storia analoga di precedenti dietro la legge del Congresso che ne vietava la rappresentazione mediatica.
La legge - ha argomentato Roberts - creava «un divieto penale di allarmante ampiezza», mentre la difesa delle norme avanzata dal governo federale era «strabiliante e pericolosa».
Il caso era nato dalla condanna a 37 mesi di prigione di Robert Stevens, piccolo produttore cinematografico giudicato colpevole per aver realizzato una serie di videocassette sui combattimenti tra pitbull.
Queste forme di combattimento e altre forme di crudeltà sugli animali sono illegali in tutti e 50 gli Stati degli Stati Uniti ma la legge era stata applicata alla rappresentazione in video di «condotte in cui un animale in vita è intenzionalmente ferito, mutilato, torturato o ucciso».
Il governo aveva argomentato che video come quelli realizzati da Roberts erano di così scarso impatto sociale da non meritare la protezione costituzionale. Tesi respinta dal giudice Roberts, secondo cui «il Primo Emendamento significa che il governo non ha il potere di limitare l’espressione a causa del suo messaggio, le sue idee, il suo soggetto o il suo contenuto».
Roberts ha ammesso che certe forme di espressione - l’oscenità, la diffamazione, la frode, l’istigazione a delinquere - sono storicamente estranee alla protezione costituzionale.

Ma ha respinto l’analogia presentata dal governo su una categoria più recente di espressione non protetta costituzionalmente, il traffico di pornografia infantile, che nel 1982 la Corte aveva escluso dalla tutela costituzionale: «La pornografia infantile è un caso particolare perché il suo mercato è intrinsecamente legato all’abuso che viene raffigurato».

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