La guerra, quella vera, nel Pd è cominciata. Il videomessaggio di Dario Franceschini ha il tono di una sfida in nome del «nuovo» contro il «vecchio», del richiamo al «popolo delle primarie» contro gli apparati e i professionisti della politica. E fa imbestialire mezzo partito quando promette «non riconsegnerò il Pd a chi c’era prima».
I dalemiani non nascondono l’irritazione: «Le parole di Franceschini lasciano amareggiati», dice Nicola Latorre, e gli è facile ricordare che proprio Dario è «uno dei principali protagonisti del passato». Barbara Pollastrini accusa: «Uscita propagandistica e di scarso stile». Magda Negri sottolinea «la ricca militanza e i ruoli di gestione diretta di Franceschini nella Dc, nel Ppi, nella Margherita, nell’Ulivo e nel Pd». Ma anche Nicola Zingaretti, presidente della provincia di Roma, attacca pesantemente il leader: «La prima “innovazione” sarebbe cominciare a dire la verità: le ultime elezioni le abbiamo perse».
Ma a tutti è chiaro che la corsa di Dario è partita, e con quello che un dirigente Pd antipatizzante definisce «un vantaggio indebito, un vero conflitto di interessi alla Berlusconi». È il segretario in carica, è il volto del partito, è quello che va «tutte le sere in televisione». Se il suo avversario Bersani si è dovuto affittare un mezzanino a piazza Santi Apostoli (per rievocare Prodi), lui ha a disposizione la sede del partito, il sito ufficiale, la web-tv, l’ufficio stampa. E ha dalla sua parte il partito Rai (infatti i Ds stanno premendo forsennatamente per sostituire a Raitre il franceschiniano Ruffini con Di Bella) e la macchina da guerra di Repubblica, «il suo messaggio di oggi sembrava scritto da Mauro e Scalfari», dicono gli avversari interni. La sua visibilità nei prossimi mesi, insomma, è assicurata. Franceschini, infatti, mette in conto di poter perdere il congresso (che ora però si chiama «convenzione») l’11 ottobre: lì conteranno iscritti e «apparati», e per l’ex Ds Bersani, sostenuto da D’Alema, potrebbe essere più facile arrivare primo tra i candidati. Ma poi il segretario sarà eletto dalle primarie del 25, e lì conterà la visibilità e la possibilità di chiamare più gente alle urne. Lo sanno bene gli antagonisti, che infatti attaccano le primarie: «Neanche in una bocciofila il segretario viene eletto da chi passa di lì, bisogna cambiare lo statuto», denuncia Violante.
Certo, gli sponsor di Franceschini non sono esattamente il nuovo che avanza: Marini (che però, per sicurezza, ha qualcuno dei suoi anche dall’altra parte: Oliverio Nicodemo, ad esempio, sta con Bersani), Fassino, Veltroni, Cofferati. Ma lui promette una «squadra» nuova: punterà molto su David Sassoli (che lui e Veltroni vogliono costruire come prossimo candidato sindaco di Roma), forse su Debora Serracchiani, che però i suoi giudicano troppo legata a Veltroni. Bersani tace: «Comincio a parlare di politica il 1° luglio», nella manifestazione che lancerà la sua candidatura. Intanto organizza le truppe: potrebbe scegliere come coordinatore al nord lo sconfitto (ma con gloria) di Milano, Filippo Penati. E al sud il re delle preferenze Gianni Pittella. Bersani sta anche corteggiando Ignazio Marino, il padre del testamento bioetico che Goffredo Bettini vorrebbe spingere in pista come terzo candidato. E a sera riunisce un consiglio di guerra con D’Alema, Enrico Letta e la Bindi.
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