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GenovaPresidente della Corte Costituzionale, eppure indagato come gli altri. Cioè per sentito dire, nel senso più letterale e meno allusivo del termine. La legge delle inchieste è uguale per tutti e da Genova mette nei guai anche Antonio Baldassarre, entrato a far parte dei giudici della Consulta fin dal 1986, diventato presidente del massimo organo di giustizia e quarta carica dello Stato nove anni dopo, nonché ex presidente del cda Rai e di diverse autorità di garanzia e di controllo. Oggi si ritrova accusato da due pubblici ministeri genovesi, Paola Calleri e Walter Cotugno, in una vicenda di «aggiustamento» di controlli fiscali. Per lui l’accusa è diversa, sfumata e alleggerita in partenza dagli stessi inquirenti, ma comunque sufficiente a procurargli un’iscrizione al registro degli indagati e un interrogatorio fiume.
Indagato per sentito dire. Perché pm e Guardia di finanza hanno ascoltato l’intercettazione di una telefonata tra un ex assessore socialista di Reggio Emilia e un imprenditore accusato di voler evitare accertamenti fiscali. E nella conversazione l’uno assicura all’altro che ci sarebbe stato un intervento decisivo di Baldassarre. Le stesse carte della procura non dicono molto di più. Non ci sono prove dell’avvenuta ingerenza dell’ex giudice costituzionale e neppure una sua promessa diretta. Altri parlano per lui, dicono di aver sentito dire da lui. Anche per questo l’accusa a Baldassarre è «solo» di «concorso in millantato credito». Un’ipotesi di reato che ha comunque portato l’ex presidente Rai a un faccia a faccia con i magistrati lungo dieci ore. Un interrogatorio avvenuto giovedì scorso, a una settimana di distanza da quello di Silvano Nizzoli, l’ex assessore che avrebbe speso più volte il nome di Baldassarre per rassicurare gli amici.
Parti delle intercettazioni sono state pubblicate ieri dal Secolo XIX, ma in queste mai compare una frase direttamente riconducibile all’ex presidente della Consulta (candidato lo scorso anno a sindaco di Terni per una lista civica vicina al Pdl), né i magistrati fanno riferimento a riscontri oggettivi di un suo intervento. Paolo Giani, un imprenditore del settore alimentare che secondo la procura vorrebbe «esercitare pressioni dirette o indirette sul personale operante della Guardia di finanza» anche «tramite alti prelati, senza però alcun esito utile», parla con il padre Leone. E riferisce il suo contatto con Nizzoli: «Sono andato là, ho incontrato ’sto personaggio (Nizzoli), domani combinazione ha un incontro con uno che conta (Baldassarre). E lui mi ha detto che glielo chiede: se mi dice che può, bene, sennò no. È uno che conta, sai... un ex Corte...».
E poi? Poi niente. «Lo stesso Nizzoli ha effettivamente fissato a Paolo Giani un incontro con la citata personalità pubblica del quale non risultano allegati né il contenuto né l’esito. Solo dai contatti successivi tra Nizzoli e i Giani si sarebbe desunta la conferma da parte del primo che la “commissione” era stata effettuata e che gli effetti “benefici” per i secondi sulla GdF si sarebbero dovuti manifestare di lì a breve». Oltre questa conferma «desunta»? Nulla. Se non che un giudice genovese, Massimo Cusatti, scrive quello che Baldassarre ha ripetuto per dieci ore ai pm che lo interrogavano. «Agli atti non ci sono elementi idonei ad affermare che Baldassarre fosse consapevole e partecipe del disegno criminoso millantatorio di Nizzoli», scrive il magistrato.
Questi i «fatti» su cui i pm genovesi specializzati in corruzione hanno torchiato l’autorevole giurista per dieci ore. «Nell’intercettazione telefonica non sono io che parlo con altri, ma è un altro che parla di me, millantando appunto credito nei miei confronti - spiega Baldassarre -. Ai magistrati ho portato anche le mie agende con gli appuntamenti, che escludono la mia presenza sul posto e nel giorno indicato.

È stato messo sotto controllo anche il mio telefono ma ovviamente nulla è emerso, perché nulla poteva emergere. L’audizione è stata molto puntuale e scrupolosa, sono davvero soddisfatto dell’ascolto dei pm: la verità verrà sicuramente a galla, prima o poi: speriamo più “prima” che “poi”. Sono io la parte lesa, il danneggiato».

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