Controcultura

Ma vietare qualcosa favorisce la grande arte

Ma vietare qualcosa favorisce la grande arte

Bizzarro che alcune delle creazioni artistiche più durature del '900 in America siano reazioni a due dei momenti più foschi nella sua storia, Proibizionismo e Grande Depressione, vicinissimi e intrecciati tra loro. Due fenomeni che hanno impregnato la cultura americana tanto quanto l'impatto che su di essa ebbe la Seconda guerra. L'umore pessimo della Grande Depressione (...)

(...) spinse gli americani a bere in un periodo in cui era vietato. Lo Stato rispose col New Deal, finanziando la costruzione di teatri e la creazione di programmi di scrittura e creatività.

Non si sa se sia stata la proibizione di vendere e consumare alcolici a impattare sull'immaginario americano oppure se la stessa inclinazione al bere sia insita nel suo DNA. L'eroe tenebroso, propenso agli eccessi e quindi più affascinante, è una costante della letteratura americana. Ma Proibizionismo e Grande Depressione hanno sdoganato un eroe con varie crepe per il quale alcol e illegalità sono il pane quotidiano. Un esempio su tutti? Il protagonista de Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald, pubblicato nel 1925, in pieno Proibizionismo, ricco imprenditore e trafficante di whisky illegale. Basterebbe leggere il saggio Broadway. New York, l'età del jazz e la nascita di un mito di Jerome Charyn (Il Saggiatore, 2007) per cogliere che specchio del suo tempo e che cartina di tornasole della nuova mentalità americana sia il capolavoro di Fitzgerald.

Per avere uno spettro esauriente di come i fiori spesso nascano nel pattume, consigliatissima è la doppia antologia Music from the Boardwalk Era (Not NOW), con brani straordinari di Sophie Tucker, Paul Whiteman, Fletcher Henderso, Duke Ellington e molti altri. L'atmosfera prevalente è lieta, urbana, danzereccia, stridente contraltare rispetto alle difficoltà del periodo. Nella provincia, invece, gli umori sono più cupi. Non c'è un solo disco di blues rurale degli anni Venti le cui liriche non contengano riferimenti smaccati alla passione per il whisky illegale, il bootleg. Mississippi John Hurt, inventore di uno stile unico in quanto poco influenzato da altri musicisti del periodo per via del suo assoluto isolamento, lo produceva. Soprattutto, ne beveva tanto. Avalon Blues: The complete 1928 Okeh Recordings è una raccolta straordinaria, una testimonianza di come persino in un paesino si riverberino gli effetti di un provvedimento pensato soprattutto per le grandi metropoli. Ma tutto il blues del Delta è imperniato su tre temi principali: amore, dio/demonio e alcol. La proibizione ha solo amplificato i sensi di colpa.

Tale è stato l'impatto di quei giorni sullo stile di vita americano che la voglia di raccontarlo non si è ancora sopita. Dennis Lehane lo ha fatto soprattutto con il romanzo La legge della notte (Piemme, 2015). Brian Panowich gli ha recentemente dedicato Bull Mountain (NN Editore, 2017). E che dire de La contea più fradicia del mondo (Dalai Editore, 2012), di Matt Bondurant, diventato il film Lawless di John Hillcoat, il ritratto di una guerra familiare per il controllo del mercato dell'alcol illegale?

Sono tanti i film hollywoodiani che hanno affrontato il tema del Proibizionismo. Gli intoccabili di Brian De Palma ha almeno una scena epica in cui la polizia fa un raid in una distilleria illegale. Aleggia, naturalmente, lo spettro di Al Capone e, dunque, non si può fare a meno di pensare al primo Scarface Lo sfregiato, in bianco e nero, ispirato alle sue gesta criminose. Ma buona parte dei gangster movies di Hollywood ne parla.

C'è chi si spinge a dire che gli stessi scrittori beat, a partire da Jack Kerouac, rappresentino insieme alla generazione dei figli dei fiori l'onda lunga del Proibizionismo. Certamente, la propensione allo sballo e al consumo smodato di alcolici ne è un tratto primario, anche se la figura dell'artista maledetto, con macchina da scrivere e bottiglia di bourbon, ha origini pregresse.

Che siano state le smodate bevute di quel periodo a far dire a Noodles, protagonista di C'era una volta in America di Sergio Leone, in risposta alla domanda «Che hai fatto in tutti questi anni?», «Sono andato a letto presto»?

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