Vietato spifferare il flirt fra colleghi: «È diffamazione»

Vietato spifferare il flirt fra colleghi: «È diffamazione»

I pettegolezzi si pagano. Anche quelli che sembrano irresistibili. È vietato, dice la Cassazione, rivelare segreti piccanti sui colleghi d’ufficio. Tolleranza zero, dai giudici, per chi tenta di vendicarsi di un amore non ricambiato rivelando, nell’ambiente di lavoro, che la persona suddetta (cioè quella desiderata senza successo) ha un flirt con un collega, oltretutto già sposato.
Il caso riguarda Carlo, sessantatré anni, cliente di una filiale della banca Unicredit di Torino: per l’uomo è scattata la condanna a un anno e due mesi di reclusione - oltre al risarcimento dei danni alla parte lesa - per violazione della privacy e diffamazione nei confronti di Daniela, una impiegata dell’istituto di credito che rifiutava i suoi inviti a cena. Dopo averla fatta pedinare e addirittura intervistare da un’agenzia investigativa, l’aspirante amante respinto aveva scoperto tutti i segreti della tanto desiderata Daniela. Quindi aveva scritto una lettera al direttore della filiale perché avvertisse i suoi superiori delle scorrettezze di cui, per ripicca, accusava l’impiegata, tra le quali la relazione con un collega. Per evitare la condanna, Carlo ha poi sostenuto che la lettera non avesse danneggiato la donna. Ma la tesi è stata bocciata dalla Cassazione in quanto «non c’è dubbio che la diffusione, all’interno del ristretto ambito lavorativo, della notizia di una relazione, sentimentale e sessuale, clandestina tra due impiegati può avere natura diffamatoria, specie se uno dei due è sposato».
I «commenti» poi finiscono per colpire anche chi sposato non è. Infatti «è pur vero che la condotta adulterina fu addebitata solo all’amante della donna, ma è altrettanto vero - osserva la Cassazione - che la riprovazione sociale (anche se spesso accompagnata da una non trascurabile dose di ipocrisia) colpisce, solitamente, in casi del genere, entrambi i partner». «D’altronde - aggiunge la sentenza - anche in assenza di valutazioni “morali” da parte di terzi, fatti del genere sono oggetto di malevolo pettegolezzo». Inoltre la circostanza che Daniela «abbia voluto mantenere segreta la relazione, costituisce prova del fatto che entrambi si sarebbero ritenuti danneggiati (anche sul piano della reputazione) dalla diffusione della notizia».
Carlo ha allora cambiato linea e sostenuto che era suo «diritto di critica» lamentarsi per il disdoro professionale del flirt. Ma la Cassazione ha replicato che non si vede in che modo quella relazione potesse incidere sul «rendimento professionale della donna».

L’uomo, infine, ha giocato l’ultima carta: scrivere che una donna «ha una relazione con un uomo sposato» non equivale a dire che i due abbiano «un coinvolgimento di natura sessuale». I supremi giudici hanno però ribattuto che questa ultima obiezione fosse «ai limiti della provocazione, considerato l’uso corrente dell’espressione».

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