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«È un vigliacco, mi strumentalizza»

MilanoLo liquida con una parola. «Vigliacco». Il tono della voce è tranquillo, come al solito, ma si capisce che le parole di Battisti l’hanno mandato su tutte le furie. Alberto Torregiani è un fiume in piena: «Questo signore è il mandante dell’assassinio di mio padre. Questo signore è responsabile del fatto che io stia su una sedia a rotelle da trent’anni. Ma ha paura, se la fa sotto, perché sa che la prossima settimana il Tribunale supremo potrebbe ribaltare la scelta del governo brasiliano e decidere di estradarlo in Italia. E allora mi strumentalizza. Un comportamento ignobile».
Nell’intervista al settimanale brasiliano «Istoe» Battisti parla di una «corrispondenza di amicizia» con lei. È vero?
«Nessuna amicizia. Ci mancherebbe».
Battisti sostiene di averle scritto molte lettere. Falso pure questo?
«Attraverso Fred Vargas, la giallista sua amica, è entrato in contatto con me. In totale mi sono arrivate due sue missive a cui ho risposto garbatamente. Punto».
Il contenuto?
«Le solite cose che lui va ripetendo a ogni occasione. Lui dice di non aver ucciso nessuno. Una circostanza che sul piano letterale può pure essere veritiera, ma i processi hanno chiarito che lui era la mente dei delitti dei Pac. Poi spiega che la sua immagine è stata rovinata da Piero Mutti che in aula depose contro di lui. Non so che dirgli: se la prenda con Mutti».
Veramente, se la prende con l’Italia del tempo: Mutti avrebbe parlato, come altri pentiti, sotto tortura.
«Ma andiamo, c’è un limite, o ci dovrebbe essere, alla falsificazione. Vuole sapere la verità? Le minacce in aula, al processo, le abbiamo ricevute noi della famiglia Torregiani. Noi vittime che avevamo perso tutto».
Non ci sarà una corrispondenza, ma forse lei l’ha perdonato?
«Ma no. Non ci penso proprio: con queste parole in libertà il dialogo, anche minimo, si fa impossibile. Io gli ho comunicato correttamente che non cercavo vendetta ma giustizia, come ripeto da anni in tutte le sedi. Cesare Battisti deve scontare la pena in un carcere italiano. Anzi: voglio lanciare un appello.
Prego.
«Chiedo formalmente come vittima, due volte sofferente come figlio e come uomo menomato, che il Brasile lo consegni alle nostre autorità».
Battisti sostiene che lei non può parlare apertamente perché lo Stato italiano le passa la pensione. E lei rischia di perderla.
«Ah sì? La decenza mi impone il silenzio. Comunque se qualcuno ha qualcosa da dire perché incasso 3.200 euro al mese si faccia avanti. Così discuteremo di quel che è accaduto: mio padre ucciso, la gioielleria di famiglia alla Bovisa in rovina, io sulla sedia a rotelle da trent’anni. Può bastare? E poi non capisco».
Che cosa?
«Mi si contesta la pensione come vittima del terrorismo. Ma se io non ho diritto a quel riconoscimento, lui allora non è più un terrorista, ma un delinquente comune».
Perché lei aveva taciuto sullo scambio di lettere?
«Per rispetto della sfera privata. Se uno mi scrive, io non divulgo quello che mi ha comunicato. Chiunque sia. Ma lui, in preda al panico, si attacca a tutto. Mi strumentalizza, come già aveva fatto in Francia prima di tagliare la corda. Rende pubblico quel che doveva rimanere riservato, millanta un’amicizia che non ha e non può avere, diffonde menzogne come allora pallottole. Sono disgustato: la paura lo scava giorno per giorno e gli fa dire cose incredibili. Il tribunale federale dovrebbe estradarlo in Italia immediatamente».
Battisti sostiene che è scappato con l’aiuto dei servizi segreti francesi.
«Se è vero, è gravissimo.

Ma a me le sue sembrano parole disperate di uno che ha perso il lume della ragione».

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