Villa: «Puntiamo al top del rugby ma partendo da scuole e vivai»

Altro che «sorella povera» del rugby milanese: mentre i sogni di gloria dell’Amatori, rinata due anni fa con ambizioni forse eccessive, si infrangono nella dura realtà delle sconfitte e della crisi economica, nella pallaovale meneghina si fa strada un’altra società. Più che una società, a essere precisi, è una sinergia, una somma, un progetto collettivo: si chiama Grande Milano, ed è frutto di una idea di Alberto Villa, veterano dei campi da rugby, che ha messo insieme il meglio di cinque squadre della città e dell’hinterland. All’inizio, l’idea di Villa aveva raccolto più di una perplessità. Adesso i fatti sembrano dargli ragione: mentre l’Amatori arranca nelle parti basse della A1, la Grande Milano va a gonfie vele in A2. E si candida a rappresentare - anche nella caccia allo sponsor - la «vera anima» del rugby milanese.
Ma perché diavolo voi rugbisti a Milano non riuscite a mettervi tutti insieme?
«Perchè ci sono mentalità troppo diverse. Il vecchio gruppo dirigente dell’Amatori ha in testa un progetto basato solo sul professionismo. Noi crediamo nel rugby di base, nei palloni ovali portati nelle scuole e nelle periferie».
Però il rugby di oggi è fatto anche di quattrini, di business.
«Anche io voglio portare Milano ai livelli più alti possibili, nel Top 10, cioè nel professionismo: ma lo voglio fare dando spazio al meglio che viene espresso dai vivai delle società che partecipano al nostro progetto. Parlo di numeri importanti: oggi Grande Milano conta complessivamente su 1.280 rugbisti, dai sei anni in su. Ovviamente poi ci servirebbero anche quattro o cinque giocatori esperti che aiutino il collettivo a crescere».
Cosa vi manca?
«Quello che manca a tutto il rugby milanese: impianti e sponsor.

Il Giuriati fa schifo, e il progetto di Guido Romiti (presidente dimissionario dell’Amatori, ndr) di una “cittadella del rugby” a me piaceva molto, e spero che continui a vivere. Ma accanto al campo per il Top 10 io voglio quattro campi per farci allenare i ragazzini. Altrimenti faremmo una cattedrale nel deserto».

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