Villaggio torna all’Unità. Dove scroccava hotel di lusso

Paolo Villaggio è un uomo riconoscente. Già declinante sul piano del successo popolare, nei primi anni Novanta fu ingaggiato da Walter Veltroni, appena insediatosi alla direzione de l’Unità, per firmare una rubrica settimanale. Ogni domenica, in prima pagina, una «Lettera sugli anni 90 del rag. Ugo Fantozzi». La trovata, non proprio al risparmio, fu spiegata così dal futuro ex segretario del Pd: «Fantozzi è una delle poche maschere italiane in grado di resistere alla bruciante usura della lampada di proiezione. Un tipo “nazionale”, scontento e infingardo, opportunista e ossequioso, egoista e maschilista. Ma anche capace di grandi improvvisi atti di coraggio civile».
Domenica, intervistato da Libero in merito al suo ritorno a l’Unità by Concita, Villaggio ha spedito questo gentile pensiero a Veltroni: «Potrebbe fare l’aiuto regista. Gli animali politici nascono così: prima cercano di fare i registi, come lui, che però era scarso, glielo posso garantire, io l’ho conosciuto a l’Unità. Non avendo avuto successo nello spettacolo ha ripiegato sul partito».
Villaggio è fatto così. Quando gli fa comodo manda avanti Fantozzi, alter-ego poetico al quale attribuisce una formidabile taccagneria, mentre lui - il comico cinico/intristito, il commentatore acre, l’anti-forcaiolo che si vanta di non aver mai letto «’sto Travaglio deificato» - sarebbe così disinteressato alla vil pecunia da aver accettato «la proposta della direttora senza neppure sapere il compenso».
Ci credete? Io no. Mentre un lettore scrive a «Dagospia» che «mettere Villaggio al posto di Travaglio sarebbe come fare un “Otello” con Alvaro Vitali al posto di Orson Welles», provo a riordinare un po’ di ricordi, avendo lavorato 24 anni in quel giornale.
Villaggio spediva a l’Unità pensierini sciolti, quasi dei canovacci informi, spesso riciclando brani dei suoi libri, ogni tanto travestendosi da Fantozzi e dando la stura al repertorio. Roba impubblicabile, così come perveniva alla redazione. Toccava a un ottimo redattore capo, Antonio Zollo, mettere mano al materiale. Attraverso un faticoso lavoro di taglia e cuci, smontaggio e rimontaggio, che alla fine produceva la «lettera» decente da piazzare in prima pagina firmata Villaggio. I temi? Già allora, erano deprimenti: l’età che avanza, la vita da pensionato «merdaccia», la morte liberatrice. Il 6 giugno 1993 scrive: «Non ho un amico, non mi telefona nessuno da tre anni. La mia attività sessuale è umiliante: pratico l’autoerotismo tutti i giorni, chiuso in bagno da solo con delle vecchie foto di Sylva Koscina».
Col passaggio al lunedì, dentro una misura più stringata sotto la testatina «Fantozzi, la voce della stiva», Villaggio la butta sulla satira politica, prendendo di mira Berlusconi. Il 24 ottobre 1994: «Il Cavaliere passeggiava in giacca azzurra da camera di velluto con lo stemma “Forza Italia” intorno alla vasca dei pesci giapponesi, nel parco della Villa Reale di Arcore. Erano le 7.20 del mattino. L’aria era frizzante. Sui prati una leggera nebbiolina. A 20 metri c’era Letta col portatile acceso in mano. Il Cavaliere guardava l’acqua... Era concentrato sui gravi problemi della Fininvest e del Paese. A questo punto fu disturbato da un rumore di passi sulla ghiaia. Era Fede, il maggiordomo, con un vassoio d’argento, portava delle brioches calde e un caffè decaffeinato». Il 14 novembre: «Era il Cavaliere, uscito per la sua passeggiatina mattutina con Gullit, il suo stallone nero. Lo seguiva a piedi, sudato e ormai allo stremo delle forze, lo stalliere Emilio Fede con in mano un contenitore d’alluminio, una scopetta e una paletta d’argento per la raccolta degli escrementi dell’animale». Il tormentone va avanti per settimane. Fantozzi prova a farsi ricevere dal monarca di Arcore che alla fine lo rassicura così: «Torni fra, diciamo, 17 anni e vedrà che qualcosa troveremo».
Era questo il tenore delle rubriche di Villaggio. La qualità non migliorava quando l’uomo, deponendo la maschera fantozziana, s’avventurava su sentieri più impervi: la presenza di Dio, la povertà ad Harlem e Calcutta, l’immigrazione clandestina... Anzi il risultato era, se possibile, più spiazzante e inconsistente.
Magari, tornando a scrivere su l’Unità, le cose cambieranno. Villaggio promette calci negli stinchi della sinistra morente. «Fingerò di essere la voce della Lega e cerco di difendere a spada tratta la filosofia leghista, la banalità della cultura televisiva, il celentanismo, il qualunquismo, il grillismo». Ogni ismo possibile. C’è da augurarsi, per Concita, che stavolta gli scritti di Villaggio non richiedano un editing così massiccio. Del resto, l’editoria è in crisi, dappertutto si taglia, a l’Unità i giornalisti sperimentano di nuovo l’umiliante cassa integrazione a rotazione. Anche l’esoso e venale Villaggio si farà un esame di coscienza. E certo, consapevole del duro momento, si asterrà dal proporre alla direttora di commentare la Mostra di Venezia soggiornando all’Hotel Danieli.

Nel 1999 ci provò, senza un’ombra di vergogna, spiegando che - in via del tutto eccezionale - il lussuoso albergo avrebbe fatto a l’Unità un super sconto: 1 milione e 400mila lire al giorno. Fu mandato a quel paese. Il giorno dopo si rivolse al Messaggero.

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