Villari non si dimette. Appello unanime: "Lasci"

Da Schifani a Berlusconi tutti chiedono un passo indietro al presidente della Vigilanza Rai: "Accordo su Zavoli". E il Pd espelle il ribelle. Macaluso: "Macché purghe Pci, lui ha violato le regole". Cossiga: "Faccio l'avvocato di Latorre per salvarlo dall'Inquisizione"

Villari non si dimette. Appello unanime: "Lasci"

Roma - Prima i presidenti delle Camere, poi il premier: tutti i vertici istituzionali (all’appello manca solo il Quirinale, che però dietro le quinte si è mosso per disinnescare nuovi conflitti) si sono mobilitati ieri per uscire dall’impasse sulla Vigilanza Rai e chiedere al suo neo-eletto presidente di rimettere il suo mandato.

Da Palazzo Chigi, ieri sera, è uscita una nota ufficiale con la quale Silvio Berlusconi chiede al senatore Riccardo Villari di «serenamente rassegnare le dimissioni» da presidente della Vigilanza (eletto con i voti del Pdl) perché «maggioranza e opposizione hanno condiviso e concordato la designazione di Sergio Zavoli». Villari, aggiunge il premier, «può dirsi soddisfatto di aver in fondo contribuito a determinare» le condizioni di un accordo.[

Prima di lui, erano intervenuti con parole simili anche Gianfranco Fini e Renato Schifani, invitando Villari a prendere atto della «volontà convergente di maggioranza e opposizione». Per tutta risposta, Villari fa sapere che il suo lavoro procede e che sta mettendo a punto il regolamento per le regionali d’Abruzzo. E a sera, ai piani alti del Pd, c’è chi ammette: «A questo punto il problema sta tutto in casa nostra: se Villari resiste, è evidente che ha ancora una sponda nel Pd che vuole continuare a tenere Walter sulla graticola». La commissione si è riunita ieri per la prima volta, per eleggere i vice-presidenti (il Pdl Giorgio Lainati e il Pd Giorgio Merlo). Villari aveva annunciato che, completati gli atti dovuti, sarebbe intervenuto in quella sede per annunciare le proprie decisioni.

E il Pd si aspettava le dimissioni del suo senatore, come presa d’atto dell’intesa bipartisan su Zavoli. Invece, a sorpresa (non per tutti, visto che il vicecapogruppo Pdl Italo Bocchino aveva sussurrato in mattinata al Pd Beppe Fioroni che Villari teneva duro e lo stesso trapelava da ambienti anti-veltroniani del Pd) il presidente ha fatto sapere di non volersi dimettere. Ha ricordato di essere stato eletto con un «voto legittimo», chiedendo ai partiti di fare «un passo indietro» perché «le istituzioni valgono di più». E ha denunciato le «pressioni e minacce inaccettabili» ricevute. Per prudenza (e perché qualcuno aveva annusato puzza di bruciato) il subentrante Zavoli non si era fatto vedere alla riunione, disertata anche dagli sdegnati dipietristi che, intanto, ingannavano il tempo lanciando accuse di fuoco contro il Pdl e il presidente del Senato.

Apprese le mancate dimissioni, è scoppiato il finimondo: il Pd ha annunciato che non avrebbe più partecipato ai lavori della Commissione, il gruppo al Senato ha convocato il direttivo per espellere il reprobo Villari. Col risultato che il direttivo si è diviso e ha litigato a lungo tra duri e morbidi, l’espulsione è stata votata con tre astensioni e il vicecapogruppo Zanda si è sfogato ricordando che «Di Pietro, che pure sta sulle palle a tutti noi, ha espulso De Gregorio in cinque minuti, mentre noi stiamo qui a spaccare il capello». In aula alla Camera, intanto, l’opposizione bloccava il decreto salva-risparmio (che pure avrà il voto favorevole Pd).

E dallo stato maggiore democrat, Veltroni in testa, sono partite bordate tese a rimandare la palla nel campo avverso: «Abbiamo fatto un’intesa con Palazzo Chigi su un nome di assoluto livello. A questo punto il problema non è più mio, ma riguarda il Pdl: sta a loro applicare l’intesa, se stiamo parlando tra persone serie». Quell’intesa, com’è noto, aveva il timbro di Gianni Letta che Veltroni ha sentito più volte nella giornata di ieri, oltre ad avere un colloquio con Fini cui ha annunciato il boicottaggio della Vigilanza. «Chi comanda nel Pdl, Letta e Berlusconi o Butti e Bocchino?», chiedeva Giovanna Melandri. Mentre Fioroni assicurava che ad essere «spaccato non è il Pd ma il Pdl, visto che i suoi gruppi contraddicono l’imperatore Berlusconi».

Alla fine, Palazzo Chigi ha replicato al pressing, facendo il suo appello. Ora però le dimissioni di Villari tornano a essere problema del Pd.

Dove si teme che il senatore prenda tempo, facendo ricorso contro l’espulsione e chiedendo che a decidere sia l’assemblea del gruppo. Dove «scoppierebbe un casino», come ammettono i veltroniani. Sospirando che «col caso Villari, è partito il congresso del Pd. E sarà un congresso all’ultimo sangue».

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