Vincono Tremonti e Della Valle Perde Bolloré, ma resta in sella

DUELLO Si indebolisce anche la filiera di Gianni Letta, principale «rivale» del ministro dell’Economia

Come sempre accade nella finanza, quando un evento societario è il risultato di un aspro scontro, sul terreno restano vincitori e vinti. Così è oggi più che mai per le dimissioni di Cesare Geronzi dalle Generali.
Perde Cesare Geronzi, naturalmente, che con un gesto - comunque la si veda - nobile, paga due situazioni. La prima è un errore di valutazione di fondo: il più alto scranno delle Generali era una posizione scomoda già in partenza, forse non ideale per Geronzi abituato, pur senza deleghe, a far sentire la propria presenza. Ma a Trieste non c’era solo un management con cui condividere il pensiero, come era avvenuto in Capitalia. E nemmeno un azionariato istituzionale racchiuso in un patto di sindacato, come quello di Mediobanca. Generali è un’altra storia, composta da manager nati e cresciuti a Trieste e partecipata da soci privati di forte personalità e autonomia, come Leonardo Del Vecchio o Francesco Gaetano Caltagirone. La seconda situazione è l’essersi trovato nel pieno di una battaglia di potere e generazionale dove le energie manageriali si sono alleate con quelle di un nuovo capitale privato per attaccare un mondo di relazioni indebolite. Uno schema nel quale Geronzi è diventato il bersaglio grosso, anche simbolico, da colpire.
Vince Giulio Tremonti. Anche se non appare, in questa battaglia il ministro dell’Economia rappresenta il cardine intorno al quale si è aggregato il «nuovo che avanza», ricevendone la copertura politica. Anche perché sull’altro fronte, quello di Geronzi, è invece considerato schierato Gianni Letta, comunemente rappresentato come l’antagonista principale di Tremonti nelle scelte economiche e di potere. In questa chiave, di contrapposizione tra filiere di potere, lo stesso Silvio Berlusconi non ha fatto ieri i salti di gioia, essendo Geronzi il banchiere più vicino al premier e alle sue strategie di governo. E di contenimento di Tremonti.
Vince Diego Della Valle. Mr. Tod’s è colui che ha dato il via al percorso che ha portato allo show down di ieri. I suoi attacchi a Geronzi, «vecchietto arzillo», accusato di condizionare la società anche senza averne i poteri, sono iniziati già in novembre, e proseguiti poi in un crescendo contagioso, fino a far emergere all’interno del cda delle Generali anche altre contraddizioni.
Vince Giovanni Perissinotto, il group ceo della compagnia triestina, che è stato messo sotto pressione sia da Geronzi, sia dal vicepresidente Vincent Bolloré, sia da soci come Del Vecchio. La determinazione dimostrata nel difendere il suo operato, anche da accuse pesanti come quelle di presunti falsi in bilancio, ha incontrato l’appoggio sostanziale della maggioranza del consiglio. Paradossalmente, però, il peggio arriva ora per Perissinotto, che dovrà dimostrare di essere un bravo amministratore a cui non verrà perdonato nulla.
Perde Vincent Bolloré, perché la linea del vicepresidente francese, irritato con Perissinotto, non ha infine trovato alcun seguito in consiglio. Il gruppo francese che Bolloré rappresenta è finito nel mirino di Tremonti e bloccato sulla strada di Fonsai. Ma è anche probabile che Bolloré abbia trattato con Mediobanca, di cui è grande azionista, per restare sia in Generali, sia nel patto di sindacato di Piazzetta Cuccia in scadenza in autunno.
Perde Ligresti, il cui peso nello scacchiere dei poteri forti, già indebolito dai bilanci di Fonsai, lo sarà ancor di più ora che esce di scena Geronzi, banchiere da sempre vicino.


Vince Alberto Nagel: l’ad di Mediobanca sembrava destinato al declino per lo spostamento di potere che avrebbe seguito Geronzi nel suo trasferimento a Trieste. Invece, con la mossa di ieri (anche Mediobanca era pronta a sfiduciare il presidente) Nagel torna a Milano più centrale che mai. Avendo anche trattato la pace con i determinanti soci francesi.

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