Virginio, l’ultimo stagnaro: «Mi arrangio, faccio anche l’idraulico»

Tanti anni fa le pentole, i recipienti, i rubinetti, i tubi erano di rame o di ferro. Quando si rompevano non si chiamava l’idraulico, ancora non c’era: si aspettava lo stagnaro, ci pensava lui. Poi è arrivata la plastica, gli stagnari non sono serviti più e sono via via scomparsi. O quasi: qualcuno, a Roma, c’è. Sulla porta del suo laboratorio di via Borromeo, a Primavalle, Virginio ha appeso un’insegna: «Ultimo stagnaro de Roma».
Sarà davvero l’ultimo esemplare di un mestiere in via di estinzione? «A Roma non ne ho incontrati più, penso proprio di essere l’ultimo», racconta Virginio con umiltà. Poi precisa: «Ma io oggi faccio l’idraulico, sistemo i bagni e gli impianti a gas. Solo qualche volta faccio lavori da stagnaro: due o tre volte al mese viene qualche anziano per farmi saldare i vasi per i fiori del cimitero e vecchie bagnarole. Ma lo faccio gratis, sono clienti».
Sui muri del laboratorio sono appese le fotografie di Papa Giovanni Paolo II «di quando è venuto qui a Primavalle», di Maria Teresa di Calcutta, «una volta andò dalle suore qui vicino, e io l’ho conosciuta», e poster della Roma. Poi ci sono gli attrezzi del lavoro. Quelli da stagnaro si riconoscono dall’antichità che riescono a trasmettere: «Il pappagallo, che è una specie di chiave inglese, il saldatore a benzina, il tagliapiombo, le tenaglie, le pinze». Oggetti che riportano Virginio, 69 anni, indietro nel tempo.
Era il 1969 quando cominciò a lavorare: «Vengo da una famiglia di stagnari. I miei sette fratelli facevano tutti quel lavoro, l’ho fatto anche io». A quell’epoca gli oggetti casalinghi come secchi, tinozze, annaffiatoi erano in ferro, facilmente attaccabili dalla ruggine e finivano per bucarsi. E le pentole e le padelle erano in rame, che emanava sostanze tossiche. Ed erano i tempi in cui non si buttava via niente: le cose che si rompevano si aggiustavano alla meno peggio. E così si aspettava la trombetta che annunciava l’arrivo del tanto atteso stagnaro: «Sì, perché eravamo artigiani ambulanti e giravamo di casa in casa. Saldavamo con lo stagno grondaie, tubi di lamiera e recipienti. Ripassavamo uno strato di zinco nelle padelle».


Poi è arrivata la plastica e assieme a nuovi tipi di contenitori la mentalità «usa e getta» del nostro tempo. Gli stagnari hanno perso la loro utilità e sono via via scomparsi. O meglio, si sono evoluti: «Siamo diventati degli idraulici. In fondo lo stagnaro non è altro che l’antenato dell'idraulico».

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