Paolo Giordano
nostro inviato a Barcellona
Comunque si capisce subito: ora i Red Hot Chili Peppers sono i rockettari più belli del reame, almeno quando salgono sul palco. Forse per questo, per godersi meglio gli applausi qui al Palau Sant Jordi, in un bailamme di caldo e di quindicimila voci in coro, loro arrivano in scena a rate: prima i caballeros con gli strumenti, poi - ma dopo un bel po - Anthony Kiedis, che è il cantante acrobata alla faccia dei suoi 43 anni, talmente scatenato che alla terza canzone si fa scappare un «oh, mi cabeza!» e si prende qualche minuto di pausa prima di agitare ancora il suo capoccione a prova di cervicale. Inizia così, con una lunga divagazione strumentale di funky agile e potentissimo, lIntergalactic Tour che nelle prossime settimane porterà i Red Hot Chili Peppers a gironzolare per tutta Europa evitando però (e inspiegabilmente) lItalia, dove si faranno vedere solo con sciarpa e cappotto a fine novembre. In inverno la batteria dellazzurrognolo Chad Smith rimarrà comè stasera, fosforescente, ma forse Flea, che è il bassista filosofo della band, dovrà rinunciare alla sua aderentissima e sottile tutina arancione, qualcosa a metà tra Woodstock e Star Trek, e John Frusciante (sì, quello di Brizzi e del suo romanzo) tirerà un po il fiato, visto che ora, archiviate finalmente siringhe e psicofarmaci, è la wandaosiris della serata e anche lamante perfetto della sua chitarra, tra laltro graffiata e scheggiata e sbatacchiata come si conviene quando i rapporti sono calienti.
Insomma Cantt stop, non ci si può fermare, come recita il titolo, che poi è una sorta di mantra, della prima canzone. I Red Hot Chili Peppers non si fermano da venticinque anni, da quando, nella Los Angeles ingozzata di glam metal e di orribili pantaloni spandex a righe, provavano a servire il loro menu di rock, funky e rap in locali come il Roxy sul Sunset boulevard. Si fossero infilati qualche volta anche la cintura di sicurezza, avrebbero evitato di schiantarsi contro droghe o esaurimenti nervosi (e morte: Hillel Slovak nel 1988) e magari oggi avrebbero meno rughe sullanima. Però eccoli qui, coccolati da un muro di voci che manda a memoria il nuovo singolo Dani California ed esplode quando Scar tissue, morbida e irresistibile, inizia a blandire il Palau mentre il ritmo sferraglia compatto, Chad Smith fa ruotare le bacchette come fosse un pistolero del West e il gruppo si muove sul palco con unarmonia che da sola vale il voto alto in pagella e pure la lode. Daltronde sarebbe difficile il contrario: in queste settimane il loro nuovo cd Stadium arcadium, il nono in studio, è il più venduto del mondo (numero uno negli Stati Uniti e anche qui da noi), i biglietti vanno via che è un piacere, Kiedis si accompagna a una fidanzata appena maggiorenne e persino Patti Smith, che non è una novizia dellambiente, cita i Peppers come suoi ispiratori al pari di Bob Dylan. E allora si capisce che quasi tutta la parte centrale del (breve) concerto sia dedicata ai nuovi brani e pazienza se talvolta, come per Charlie o Torture me, le braccia in platea si abbassano e le ragazzine smettono di ballare: è la novità, bellezza. E ci vorrà un po di tempo prima che il pubblico metabolizzi anche il nuovo repertorio. Intanto a sorvegliarlo dallalto cè la scenografia che, per cominciare, è finalmente essenziale: sul palco non cè nulla, a parte batteria fosforescente, amplificatori e pedaliere di basso e chitarra. Ma dietro spuntano quattro schermi semoventi al plasma, che riproducono i dettagli dei musicisti, e si alzano 400 pannelli luminosi che corrono come una lingua sul soffitto fino a metà della platea.
E allora quando Anthony Kiedis si toglie la maglietta (ma non i soliti limiti vocali) il concerto diventa un coro: prima By the way, strepitosa, poi gli abituali bis Under the bridge (sulla solitudine), Give it away (su come batterla) e lo spettacolare golpe di Frusciante, che tutto da solo inizia ad abbracciare la sua chitarra, la stuzzica, allunga gli accordi, li lascia vibrare allinfinito e poi ancora, finché le luci in sala si accendono e lui rimane in ginocchio sul palco mentre leco se ne va piano piano, ondeggiando.
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