Il virus del punto interrogativo È l’estate delle dieci domande

Eppoi dicono di Marzullo: si faccia una domanda e si dia una risposta. Qui stiamo prendendo un brutto andare. Diceva Montanelli, ammonendo i redattori: «Il primo che mette un punto interrogativo in un titolo... lo licenzio!». Come? Perché? Che cosa vuole dire? «Che un giornalista non deve fare domande, anzi rispondere alle stesse». Prima di Montanelli ci fu un altro illustre, trattatasi di scrittore francese, di nome Marcel e di cognome Proust che, in verità, mentre era alla ricerca del tempo perduto si era posto pure lui un gruppo di questioni, dette per l’appunto il questionario di Proust, una trentina e più di pruriti esistenziali, dalla qualità che l’interlocutore desidera ritrovare in un uomo o in una donna, al principale difetto, dal poeta, eroe, compositore preferiti, fino a quello disprezzato, per concludere con il motto scelto per riassumere il proprio essere. Il gioco salottiero riempie le pagine di ogni tipo di giornale, soprattutto patinato e di schieramento, fa tendenza, è glamour, acchiappa l’intellettuale e il vip, il tronista no perché ritiene che Proust sia il padre di tutte le prostitute.
Scherzo? Non tanto. La moda di porre domande, sui fogli di ogni tipo, ha portato alla resa anche il Foglio, capita a fagiuolo. Dieci domande sparate in prima pagina, dieci domandone secondo cilindrata del Direttore, interrogativi rivolti al presidente del Consiglio dei ministri, non proprio domandine messe giù tipo Repubblica e affini, tutto sessoandrockandroll, ma roba grossa, con parte introduttiva, di riassunto delle precedenti puntate e, a seguire, la richiesta, perentoria, quasi minacciosa, di risposta. Domande più lunghe delle risposte, come si usa anche nelle conferenze stampa, specie quelle nostrane, dove il cronista parla per minuti cinque e il conferenziere, a volte, replica in secondi cinque: «Sì, sono d’accordo».
Mike Bongiorno ci ha salutato ma il quiz è vivo e regna assieme a noi. Non c’è scampo, al risveglio il primo quesito: «Hai dormito bene?», si scende al bar e immediatamente: «Come va? tutto bene?», si passa all’edicola e dall’antro del chiosco fuoriesce una voce: «Dottore, ha letto... ?». Senza cuffia e senza cabina siamo concorrenti allo sbaraglio, nemmeno con la possibilità di scegliere la domanda di riserva. A scuola ci dicevano che erano i filosofi a rispondere alle domande della vita ma qui si esagera, il premier in quanto tale è chiamato a ribattere colpo su colpo, qui non c’è minuto che passi e Repubblica e Farefuturo e Libero e Avvenire e Il Giornale e Topolino si sfidano a chi le spara, le domande, più inquietanti e inquiete. Fumano i cervelli nelle riunioni di redazione, le notizie vengono spostate in seconda fila, prima i quesiti, prima i domandoni.
Capisco la Settimana enigmistica che dalla fondazione resiste a infiniti tentativi di imitazione, tra un rebus e una crittografia può porre tutti i «quesiti della Susy» che vuole ma con i quotidiani e i settimanali come la mettiamo? E se dovesse toccare anche ai tg aprire i notiziari con una serie di interrogativi dinanzi ai quali il telespettatore medio si guarderebbe attorno, stranito, chiedendo l’aiuto dei famigliari o astanti, consultando l’enciclopedia o simili? Insomma voglio dire che questa modamania delle domande, in fila per una con il resto di niente, ha stancato più dell’ondame fluttuante del Marzullo di cui sopra, il quale, almeno, va sugli schermi all’ora tarda, quando ormai non si fanno più domande perché non si hanno più la voglia e il fiato per le risposte.
Dunque consiglio per i titolisti e i direttori: come tuonava Indro Montanelli, via il punto interrogativo dalle pagine altrimenti a che cosa serviamo noi giornalisti? Però mi accorgo, e vi sarete accorti pure voi, che quest’ultima è una domanda e allora ci risiamo, punto e a capo. Del resto l’Onnipotente consegnò a Mosè dieci comandamenti e non certo dieci domande; pensate un po’ che vita sarebbe stata per l’umanità e come saremmo ridotti oggi, se quell’eventualità paradossale e ambigua, si fosse realizzata: non desiderare la donna d’altri? Onora il padre e la madre? Non uccidere? Avete venti secondi di tempo per decidere.


E io che faccio? Cribbio, l’uomo abbisogna di certezze, di un bastone saldo e non di un equilibrio precario, con l’arcano che lo rode e la risposta che barcolla. Comunque sono pessimista, ormai dieci domande non si negano a nessuno. Si replica. È l’ora di affiggere il cartello sui giornali, come a teatro: si replica.

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