Visco cambia i fattori delle aliquote ma il prodotto è sempre lo stesso

È stata proprio una bella pensata quella del viceministro Visco di proporre la riduzione dell’aliquota fiscale che colpisce i conti correnti bancari dal 27 per cento al 20 per cento e, per ragioni di equanimità, aumentare dal 12,50 al 20 per cento quella che incide sugli investimenti finanziari (titoli di stato, obbligazioni eccetera). È la classica mossa fatta per prendere due piccioni con una fava perché, come vedremo, Visco è magnanimo con chi rende poco all’Erario ed esoso con chi rende di più.
Presumo che il Visco-pensiero sia stato il seguente: oggi il tasso d’interesse pagato ai correntisti dalle banche supera di poco lo zero per cento per cui rende poco all’erario. Conseguentemente si può ridurre l’aliquota. Al contrario, gli investimenti in Bot, Cct, obbligazioni rendono un corposo 3-3,5 per cento. Ergo: per «equità», aumentiamo l’aliquota.
La prova è presto fatta. Pensiamo ad una persona che ha nel proprio conto corrente bancario 10mila euro ed altrettanti in Titoli di Stato. Con le nuove aliquote dai primi otterrà un vantaggio (perdita per l’Erario) pari a 3,50 euro annui. Dai secondi una perdita (vantaggio per l’Erario) pari a 26,25 euro, ben sette volte maggiore del primo.

Perciò, per favore, non si parli più di equanimità.

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