da Roma
Né i fischi al premier, né la protesta delle categorie contro gli studi di settore smuovono le granitiche certezze di Vincenzo Visco. «Non do molta importanza alle minacce di disobbedienza fiscale; per rivoltarsi serve una ragione, e io sfido chiunque a trovarla», dice il viceministro dellEconomia presentando, in una conferenza stampa, gli ultimi redditi dichiarati dai contribuenti sottoposti agli «studi». Secondo i dati di Visco, nel periodo dimposta 2005 il 53,8% delle imprese è risultato non in linea con gli indicatori di normalità economica, contro il 39,4% - poco più di un milione di soggetti - in linea coi parametri e un 6,8% di soggetti marginali che non riescono a rientrare nei limiti fissati dagli indicatori. Una percentuale, quella delle imprese «fuori linea», tale da far pensare che gli indicatori rappresentino una «anormalità» economica, più che una normalità.
Lanalisi degli studi di settore, afferma ancora il viceministro, evidenzia «comportamenti straordinariamente anomali» di circa la metà dei contribuenti; ed è dunque evidente, aggiunge, che cè una robustissima evasione. «Quel che chiediamo sono 100-200 euro in più al mese, per correggere patologie evidenti», sostiene Visco attribuendo le proteste dei presidenti delle categorie alla carenza di informazioni. «Noi - aggiunge - pensiamo di avere risposto alle sollecitazioni; ma dove cè evasione, è chiaro che non cè nulla da discutere».
I contribuenti in linea dichiarano mediamente ricavi per 362mila euro e un reddito dimpresa di 45mila euro, quelli non in linea dichiarano in media ricavi per 193mila euro e un reddito dimpresa di 10.500 euro. Non mancano gli esempi di infedeltà fiscale, come imprese che scontano lacquisto di beni strumentali senza poi dichiararne il possesso: 130 tassisti risultano privi di vettura, 3.129 ristoranti non hanno cucina, 480 farmacie non dispongono di scaffali. Ci sono pescivendoli e macellai che hanno tenuto in scorta il pesce fresco o la carne fresca per sei mesi. Né mancano le medie delle dichiarazioni dei contribuenti «congrui» raffrontate a quelle dei «non congrui». Così i farmacisti «congrui» dichiarano in media 148.600 euro contro gli 86.700 dei «non congrui», e così via sino ad arrivare ai pescatori «congrui» con 13.100 euro di imponibile.
Ma si tratta di medie, e come tutte le medie risentono di molti fattori. Ne ricorda qualcuno il segretario degli Artigiani di Mestre, Giuseppe Bortolussi: a) il 70% dei commercianti e degli artigiani lavora da solo, e quanto possono guadagnare in più dun dipendente? b) cè forte differenza di reddito fra Nord e Sud, e il Mezzogiorno spinge in basso la media nazionale; c) nei primi tre anni di attività il tasso di mortalità delle imprese rasenta il 50% e tenendo conto delle imprese che chiudono o falliscono, la media dei redditi scende verso il basso; d) è possibile, per le imprese individuali, spalmare il reddito coi familiari-collaboratori (anche se il titolare non può denunciare una quota di reddito inferiore al 51% del totale). Perciò Bortolussi parla di «analfabetismo fiscale», replicando a chi denuncia le «dichiarazioni da fame».
Nonostante il disinteresse dimostrato da Visco di fronte alla protesta fiscale, le associazioni degli artigiani e dei commercianti incominciano a organizzare le manifestazioni contro gli studi di settore. Sabato ne avrà luogo una a Treviso, a cui prenderà parte il gruppo consiliare di Forza Italia alla Regione Veneto. E martedì prossimo, al Senato, si voterà una mozione della Cdl che impegna il governo a non applicare ai redditi 2006 i nuovi indicatori di normalità economica. Anche da parte della maggioranza non mancano le prese di distanza dal giacobinismo fiscale dellesecutivo.
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