Cultura e Spettacoli

Il visionario Zeffirelli si prende tutta l’Arena

L’amore di Franco Zeffirelli per l’Arena di Verona è antico. L’atmosfera unica dell’anello di pietra, l’immensa marea del suo pubblico festoso e appassionato, lo affascinarono molto tempo prima di diventarne uno dei protagonisti, se non il creatore di meravigliose visioni più amato degli ultimi anni. Nel 1947 il primo «ingresso» all’Arena. In compagnia di Luchino Visconti, l’allora giovane assistente Franco Zeffirelli fu presente allo storico debutto in Italia di Maria Callas nella Gioconda di Amilcare Ponchielli. Dirigeva uno degli ideatori degli spettacoli in Arena, Tullio Serafin. E i due - la Callas e il maestro Serafin - più tardi si trasformeranno in preziosi talismani per la carriera di Zeffirelli.
L’impatto della Callas sul giovane Zeffirelli fu tale da convincerlo definitivamente che valeva la pena spendere tutta la vita per una forma di spettacolo completa come il melodramma. Dopo essere assurto nel Gotha del cinema (ha trionfato anche a Hollywood), del teatro (storico debutto al glorioso Old Vic di Londra) e nelle maggiori case d’opera del mondo, Zeffirelli non ha abbandonato le sue fantasie areniane. Immaginava spesso come avrebbe realizzato questo o quell’altro di quei grandi titoli operistici che dal 1913 infiammano il pubblico che ha eletto l’Arena di Verona a simbolo tra i più popolari dell’opera.
Per l’ingresso sulla maggior scena all’aperto italiana - l’Arena - è trascorso quasi mezzo secolo dalla folgorazione callasiana. Siamo già nel 1995 e l’amata e imprendibile (sono parole di Zeffirelli) Carmen lo laurea anche protagonista in sede areniana. Al capolavoro bizetiano faranno seguito spettacoli altrettanto fortunati come Il Trovatore (2001) e Aida (2002) di Giuseppe Verdi, Madama Butterfly (2004) di Giacomo Puccini.
Il consenso del pubblico dell’Arena agli spettacoli del nostro è tutt’altro che una sorpresa, ma una conseguenza naturale, quella appunto nata fra la peculiarità zeffirelliana che si identifica con lo specifico areniano, vale a dire, creazione pensata in rapporto al luogo e capacità di gran governo delle masse artistiche, sceniche e tecniche. Il punto più alto del rapporto fra Zeffirelli e l’Arena viene toccato quest’anno con la riunione di tutti i titoli e l’aggiunta questa sera di un’opera che Zeffirelli ha allestito con enorme successo alla Scala e al Met: l’Incompiuta di Puccini, Turandot.
A conferma di quanto detto rileviamo che al fascino delle creazioni di Zeffirelli concorrono i movimenti di folla che rappresentano un unicum nel mondo operistico. Si tratti della piazza-mercato di Siviglia in Carmen o dell’accampamento del Conte di Luna in Trovatore, passando dallo sfarzo dell'Egitto dei Faraoni di Aida alla sordida umanità da lui raffigurata per la Nagasaki primo Novecento di Butterfly, l’impressione è sempre di una vitalità unica.
Per Zeffirelli-regista ogni figura in scena è un personaggio, a ciascuno è assegnato un compito diverso. Ma tutti devono agire in concorso fra loro, perché l’occhio dello spettatore è pronto a cogliere la minima difformità. L’occhio di Zeffirelli traduce attraverso il disegno la sua creatività. Quando il regista-scenografo illustra l’idea di un suo spettacolo, lo fa disegnando estemporaneamente punto per punto lo spazio, la scena, i personaggi. Pagina dopo pagina si susseguono i mutamenti, si intrecciano l’aspetto formale, il racconto drammaturgico e i cambiamenti di scena. È un modo di lavorare da grande creatore di visioni sceniche, un modo che oggi si è perduto quasi del tutto. Molti creatori, anche fra i più avveduti, non sanno tenere in mano quella fatidica matita che Zeffirelli ha sempre impugnato da maestro.
Tutto ciò detto, è conseguente definire Franco Zeffirelli, cavaliere della Corte di San Giacomo (se fosse di nazionalità inglese gli spetterebbe il titolo di sir), un artista totale. Egli parte dal segno di una matita e via via trasferisce il prodigio delle sue idee in meravigliose storie che a noi arrivano con i tratti di Carmen, di Butterfly, di Aida, di Manrico e Leonora, e quest’anno, di Turandot.

Il nostro augurio è che (sir) Franco come sir John Falstaff, il cavaliere di Shakespeare e di Verdi-Boito che tanto ha amato e portato sui palcoscenici di tutto il mondo, possa ben dire: Questo è il mio regno, lo ingrandirò.

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