In vista del passaggio parlamentare della Finanziaria a dicembre, il centrosinistra scopre di non avere più la maggioranza per farla approvare a Palazzo Madama Sui conti il governo aggrappato ai senatori a vita Gli mancano due voti, ma pare certo l’appo

Il capogruppo azzurro: «Il Prof resterebbe in piedi grazie a chi non ha mandato popolare»

Adalberto Signore

da Roma

Lo scorso 19 maggio fu il capogruppo dell’Ulivo al Senato Anna Finocchiaro a spiegare che, anche senza il voto dei senatori vita, il neonato governo Prodi avrebbe comunque ottenuto la fiducia di Palazzo Madama. In quell’occasione, infatti, finì 165 a 155 (con il siciliano Pistorio che riuscì a perdere l’aereo) e l’aritmetica non lascia dubbi sul fatto che anche senza l’appoggio di Ciampi, Cossiga, Scalfaro, Andreotti, Colombo, Levi Montalcini e Pininfarina il Professore avrebbe comunque raggiunto il quorum di 158. A dicembre, però, quando la Finanziaria arriverà a Palazzo Madama la situazione rischia di essere assai più complessa. Al punto che nei giorni scorsi Berlusconi ha più volte invitato i suoi senatori a «non mancare una seduta» perché sulla manovra «potrebbe essere la volta buona» che «li mandiamo a casa». Non a caso, se lo stato delle cose dovesse rimanere quello di oggi, per la prima volta nella storia del Paese una legge di bilancio passerebbe solo grazie al voto dei senatori a vita.
I conti sono presto fatti. La maggioranza, infatti, ha sulla carta 157 voti. Sulla carta perché dopo la sua plateale uscita dal Pdci Fernando Rossi ha già annunciato che «se non cambia radicalmente» voterà contro anche in caso di fiducia, mentre Franco Marini, presidente del Senato, non vota per prassi. Così, i numeri del centrosinistra si riducono a 155. Dall’altra parte, l’opposizione può contare su 155 voti, a cui va però aggiunto quello dell’ex segretario dell’Udc Marco Follini che, pur avendo lasciato il partito (ora è nel gruppo misto), ha più volte detto che sulla Finanziaria voterà «no». La situazione, dunque, vedrebbe la maggioranza ferma a 155 contro i 156 voti dell’opposizione (anche se nell’Udc, per ragioni di salute, da mesi manca all’appello Nedo Poli). Diventano quindi determinanti i due indipendenti Sergio De Gregorio e Luigi Pallaro. Il primo sembra abbia già deciso per il «no» e le sue ultime dichiarazioni sulla necessità di «larghe intese» non lasciano troppi dubbi. Il secondo, argentino eletto nella circoscrizione America Meridionale, pare ancora incerto. Ma su di lui, dicono ai piani alti di Palazzo Madama, peserà anche la pressione del governo del Venezuela, grato a Prodi di aver fatto esordire l’Italia al Consiglio di sicurezza Onu appoggiando (con 35 astensioni consecutive) la candidatura venezuelana al «seggio latino» (in alternativa al Guatemala, sostenuto dagli Usa).
Ipotizzando che i due indipendenti si dividano tra centrosinistra e centrodestra, dunque, il pallottoliere arriverebbe a segnare 156 a 157. Un risultato che non tiene conto di alcuni scontenti della maggioranza, tra cui spicca Helga Thaler Ausserhofer, che ancora non ha digerito il fatto di essere stata costretta a votare Marini invece di Andreotti (al quale è legata da decennale amicizia) alla presidenza del Senato. E forse non è un caso che la Thaler, da sempre poco avvezza ai riflettori, negli ultimi giorni abbia duramente criticato le nuove aliquote Irpef inserite in Finanziaria.
Determinante, dunque, è la partita dei senatori a vita. Tre voteranno certamente la fiducia, dando sostanzialmente il via libera alla manovra. Sono Oscar Luigi Scalfaro, Emilio Colombo e Rita Levi Montalcini. Mentre è probabile ma non sicuro che voti Carlo Azeglio Ciampi. L’ex capo dello Stato, infatti, fu subissato di fischi quando appoggiò la fiducia al governo. Dovesse sostenere anche la manovra (un voto decisamente più politico) farebbe di certo il bis. Su Sergio Pininfarina, invece, il centrodestra ripone più d’una speranza. Non tanto che si esprima contro la Finanziaria, quanto che non voti come fa dal giorno successivo alla fiducia al governo. Partita aperta, poi, con Francesco Cossiga, sempre imprevedibile. Mentre alla fine Giulio Andreotti dovrebbe votare con la maggioranza. Restando questo il quadro, dunque, la partita della Finanziaria la chiuderanno i senatori a vita. Una cosa, spiega il capogruppo di Forza Italia al Senato Renato Schifani, «mai successa».

«Il governo - spiega - resterebbe in piedi grazie a senatori non eletti dal popolo, ma di diritto o di nomina presidenziale. Insomma, non sarebbe certo una fiducia del Paese, ma solo una fiducia parlamentare. E ancora più grave sarebbe se, al netto dei senatori eletti, davvero la maggioranza dovesse avere un voto in meno».

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