Milano - Tanto lo sapeva già. «Le polemiche su di me giurato alla Mostra del cinema di Venezia? Le avevo messe nel conto», ammette lui adesso. Eppure Ligabue alla Mostra del Cinema di Venezia, da mercoledì agli ordini del presidente Ang Lee e di fianco a Liliana Cavani, Joe Dante, Sandrine Bonnaire e Anurag Kashyap, è il segno bello di un establishment cinematografico stanco (finalmente) di concorsi che spesso premiano film distanti dal grande pubblico. E poi Ligabue di mestiere racconta storie con il rock ma lo sa fare anche con i film, uno dei quali, Radiofreccia, è stato benedetto pure dalla critica più snob. «Quando mi hanno detto che Müller mi voleva a Venezia, ci ho riflettuto per qualche giorno», spiega quasi timidamente. Poi ha accettato, vai così, e chissenefrega se qualcuno storce la bocca.
La giuria è un onore, perché ci ha pensato su?
«Per mia natura, io non esprimo giudizi. Naturalmente li formulo, ma solo dentro di me. In questo caso, poi, i miei giudizi avranno una forte influenza e questo mi frenava molto. Però ho vinto la resistenza».
D’altronde, il suo «Radiofreccia» è stato campione d’incassi e «Da zero a dieci» partecipò al Festival di Cannes.
«In fondo mi sono chiesto: che patentino serve per diventare componente della giuria? Certo, non faccio film tutti i giorni e questo può mettere a disagio qualcuno. Ma io resto comunque un’anomalia e, in ogni caso, criticarmi è un diritto».
E adesso?
«Mi aspettano due settimane di full immersion: mi piace l’idea di vedere tutti i film e poi di dire la mia confrontandomi con autentici maestri».
Vi siete già sentiti?
«No, ci conosceremo a Venezia. Certo, sarà un onore lavorare con gente come Liliana Cavani o Ang Lee, di cui mi piacciono molto Tempesta di ghiaccio e I Segreti di Brokeback Mountain».
Come farà il giurato?
«Con il gusto di cercare in un film l’urgenza di raccontare una storia e la sua utilità per le persone. Un film può far ridere o riflettere o indignare, può addirittura disturbare ma deve essere comunque molto utile a chi lo guarda».
Allora farà il giurato «da mediano»?
«No, preferisco da numero dieci, da fantasista alla vecchia maniera».
Come Pelè?
«Direi come Baggio. Quando ho scritto Una vita da mediano mi sentivo quasi in colpa per l’eccessivo successo. Ma è uno stato d’animo di tanto tempo fa».
Il direttore Marco Müller nega che sia una Mostra «troppo provinciale».
«Intanto credo che i selezionatori abbiano trovato nei quattro film italiani in concorso la qualità necessaria per Venezia. E comunque siamo di fronte a opere che vengono da tutto il mondo, da Sri Lanka fino a Israele e al Giappone. C’è il regista 81enne maestro della Nouvelle Vague fino allo stilista Tom Ford che esordisce come regista».
Anche lei ha esordito qui.
«Mi ricordo che siamo arrivati con Radiofreccia montato all’ultimo giorno. Un’ansia tremenda. Ma quella prima proiezione è stata invece decisiva per la mia carriera. Prima è piaciuto ai giornalisti, poi al pubblico: fantastico».
Poi aveva giurato: non ne farò più.
«E invece è arrivata l’idea di Da zero a dieci. Un’altra esperienza devastante. Comunque l’unico punto fermo per mettermi di nuovo a fare film è l’urgenza di un’idea. Qualcosa cui non si può resistere».
Non è più venuta?
«L’unica storia che mi aveva conquistato e che avrebbe potuto diventare un film era ambientata nel 2166 e aveva bisogno di un budget hollywoodiano. Ne è uscito fuori il romanzo La neve se ne frega. Da allora nient’altro».
Ma se arrivasse quella giusta?
«Credo direi subito di sì».
Lo ammetta: al cinema non sa resistere.
«È una passione di vecchissima data. Qualche tempo fa, ho preso una di quelle guide cinematografiche e ho fatto il conto: nella mia vita ho visto almeno tremila film».
Genere preferito?
«Tutti i generi».
Qualcuno critica la sua trasversalità artistica.
«Un giorno ho ritirato a Procida il premio Elsa Morante per il libro Fuori e dentro il borgo».
Era il 1999.
«E il giorno dopo sono andato allo stadio e mi sono accorto che in curva cantavano la mia Urlando contro il cielo. Non so come giudicare questa trasversalità, so solo che ci godo da morire».
E difatti appena avrà finito a Venezia, suonerà dieci concerti all’Arena di Verona: otto con l’Orchestra e due, il 19
«I film sono un bisogno, ma si rivelano anche un’esperienza talvolta devastante. Fare concerti, in fondo, mi diverte molto di più».
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