In cima alla classifica di chi conta veramente quando si parla di arte contemporanea non troviamo lartista né il direttore di museo, il critico o il gallerista. Il più importante è colui che mette mano al proprio portafoglio e spendendoci del suo non può permettersi di sbagliare. È il collezionista dunque il number one di questa particolare graduatoria, specie se inseguito da una vera e propria ossessione di essere sempre sul pezzo: attuale, informato, di tendenza o di rottura.
Così Charles Saatchi si autodefinisce «an artoholic», che tradotto in italiano non suona benissimo ma rende lidea: «artolico», qualcosa che somiglia ad alcolizzato darte o seguace di una setta oltranzista. Un uomo che ha sempre incarnato lo spirito globalista, nato a Bagdad nel 1943 da famiglia ebraica emigrata a Londra, fondatore nel 1970 con il fratello Maurice della più famosa agenzia pubblicitaria inglese che sostenne tra laltro la campagna elettorale di Margaret Thatcher, oggi uno dei maggiori contribuenti del Regno Unito e marito di Nigella Lawson, giornalista televisiva di cucina.
La vera ossessione di mr Saatchi è però larte contemporanea, negli anni 80 come collezionista di Koons e della Transavanguardia, quindi scopritore e sponsor dei talenti irrequieti della yBa, in particolare finanziatore dellopera più clamorosa di questa corrente, ovvero lo squalo in formaldeide di Damien Hirst che ora vale 150 milioni di dollari. Avendo scoperto che larte è una forma di shopping esclusivo in grado di ergerti a personaggio pubblico allaltare delle cronache, Saatchi è uscito allo scoperto aprendo uno spazio espositivo dopo laltro, riuscendo a convertire la suburbia londinese in zone hypercool. Le sue operazioni - di immagine oltre che finanziarie - sono sempre spericolate e proprio per questo cera bisogno le raccontasse senza particolari filtri in un veloce libro, uscito da noi nello stesso giorno in cui è divenuta ufficiale unaltra notizia bomba: la scelta di donare duecento opere, tra cui il famigerato «Letto» di Tracey Emin al popolo inglese. Presto la sua galleria di Chelsea verrà trasformata nel Museum of contemporary art for London, completamente autofinanziato e senza esborso alcuno da parte dello Stato.
Mi chiamo Charles Saatchi e sono un artolico (Phaidon, pagg. 176, euro 9,95) è una sorta di intervista collettiva, raccolta sui giornali e sul web mettendo sullo stesso piano giornalisti famosi e gente comune, dove il collezionista risponde senza censura a domande intelligenti e banali, indiscrete e sciocche senza mai scomporsi. Quando compra dice di non seguire nessuna regola tranne il gusto personale, ma non gli crediamo, non ascolta i consigli di nessuno, dice di essere più fiero dei fallimenti che dei successi. Alle pareti di casa non appende quadri, se gli artisti che ha comprato non gli piacciono più o pensa di guadagnarci li rivende senza problemi, non va mai alle proprie inaugurazioni né a quelle degli altri. Cè il rischio di mancare talenti sconosciuti? «In generale di talento ce nè così poco in natura: è più facile che la mediocrità sia presa per eccezionalità piuttosto che la genialità passi sotto silenzio». Non crede affatto la pittura sia morta, anzi, né risparmia qualche randellata al suo vecchio sodale Damien Hirst, che pur essendo certo resterà forse lunico artista inglese di fine XX secolo a essere ricordato, è ultimamente in crisi di idee. Si annoia molto a frequentare la gente dellarte, stima il gallerista Larry Gagosian «ma quando lo vedo arrivare sento la musica dello Squalo», ama visitare il Prado, ha un debole per Goya e vorrebbe comprarsi un posto in paradiso.
Alla critica rivoltagli dal pittore pop Peter Blake di rappresentare un influsso maligno per come riesce a costruire i fenomeni, ribatte che se avesse acquistato alcune sue opere certo non lavrebbe pensata così. Rispetto agli scandali provocati dalle sue mostre (ecco che vien fuori lanima del pubblicitario) - la Madonna nera appoggiata su sterco delefante di Chris Ofili in Sensation che fece infuriare i cattolici americani, i dipinti con lo sperma in Usa Today nel 2006, la gigantesca cacca di Liu Wei - sostiene con una certa superficialità che ciò che vediamo quotidianamente è molto più di cattivo gusto.
Spiritoso, pronto e paradossale, cè solo una cosa che lo manda in bestia: laccusa di aver provocato lincendio del suo magazzino dove sono andate bruciate centinaia di opere. «Non era particolarmente divertente neanche la prima volta che un idiota me lha chiesto, e questa è la centesima volta».
Simpatico furbastro che ti scruta dalla quarta di copertina, Charles Saatchi conserva però quella curiosità che altri collezionisti hanno dimenticato.
Vita, «opere» e miracoli di mr Saatchi
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