La vita è una schiscetta piena di piccole cose condite alla milanese

«Ch'el me scusa, mi scusi, ma lù l'è invidaa? Si? Allora per piasé, ch'el se desvida on moment: si sviti un attimo...» In milanese «invidaa» significa sia «invitato» che «avvitato» e si gioca proprio su questo bisticcio una vecchia battuta che si riferisce a chi a un rinfresco o in un bar qualsiasi «è solito piazzarsi davanti al tavolo delle bibite e delle vettovaglie e non intende spostarsi per lasciare spazio ad altri convitati».
Un piccolo aneddoto fra i tanti che il giornalista Giorgio Guaiti racconta con leggerezza e ironia per descrivere la vita di ogni giorno in una città come Milano. Lo ha fatto per anni, fra il 1987 e il 2009 con la rubrica «Specchio segreto» sulle pagine del quotidiano «il Giorno». Storielle che ora occupano una paginetta o poco più e che Guaiti ha raccolto in un volume (nella collana Pagine Disparse milanesi in collaborazione con il centro Filologico milanese). Sono quasi 200 pagine in cui trovano spazio le vicende prese dalla strada, nel bar sotto casa, in metropolitana «che appartengono alla vita di ogni giorno a Milano e non soltanto a Milano poiché in fondo - spiega - farmacie, supermercati, impiegati, motociclisti esistono ovunque» Così come «i guai della gente sono sempre gli stessi anche in barba allo scorrere del tempo». Ecco perché come recita il titolo «La vita è una schiscetta» e cioè «piena di piccole cose più o meno buone».
Quelle pennellate di vita quotidiana senza nome e cognome, senza fatti eccezionali che il giornalista con la sua trentennale esperienza in una redazione di un quotidiano, definisce «Avventure di ogni giorno», come recita nel sottotitolo.
Per di più raccontate anche in milanese. Già, perché le brevi storie che cominciano e si concludono guardacaso sempre col pane, dalla condanna a cui è sottoposto chi è costretto a mangiare sempre e solo panini a pranzo e arrivando alle saracinesche sempre più chiuse dei prestinai cittadini, sono tutte tradotte in dialetto milanese.
La traduzione è affidata all'esperienza di Alma Brioschi che insegna la lengua milanesa al Circolo Filologico milanese, l'istituzione culturale meneghina che ha contribuito alla realizzazione del volume. Non solo. Alla fine del libro quattro racconti sono tradotti anche in latino, «un po' per sfizio e un po' per dimostrare quanto dell'antica lingua dell'Impero - come spiega lo stesso Guaiti - è rimasto nel dialetto della città e per offrire, a chi lo vuole cogliere, una (rara) occasione di verificarlo».


E per chi il milanese lo mastica non troppo bene, all'inizio del volume un paio di paginette ragguagliano gli inesperti con le «brevi indicazioni pratiche» per una corretta pronuncia. E allora, per dirla con Guaiti «Ma milanesi si nasce oppure si diventa respirando aria e nebbia?».
La risposta è a pagina 66, e rigorosamente con testo milanese a fronte.

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