La vita in televendita di Baffo: «Confesso: l’asma è un falso»

Il suo trucco: «La gente crede all’infarto e ti ascolta»

Baffo esce di galera dopo aver segnato due gol. È il giugno del 2003 e ha appena giocato una partita a San Vittore. Niente derby del cuore, in campo non ci sono i colleghi di serate e tv, è nella squadra dei detenuti e Roberto Da Crema fa la sua doppietta, esulta, è pronto a tornare in cella quando una guardia, all’improvviso, lo salva: sei libero.
È finito in carcere qualche giorno prima con l’accusa di bancarotta fraudolenta. Il giudice per le indagini preliminari, Cristina Mannocci, l’ha interrogato nel carcere milanese in un pomeriggio afoso: la Mannocci è «una signora gentile», una di quelle che di solito lui incanta dal piccolo schermo, che convince a comprare con le sue urla strascicate, il fiato che annaspa, la gestualità esagerata. Quel giorno però il televenditore non incanta nessuno: confessa come un bambino.
Roberto Da Crema ama raccontarsi come una fenice, la cella quattro metri per due e la vittoria a pallone, i soldi da restituire al fisco e la carriera che riprende, la rovina al casinò e la nuova trasmissione in tv. La sua storia - che ora è diventata un’autobiografia, Parola di Baffo, pubblicata da Cairo editore - parte dalle colline dell’Oltrepò pavese, dove sognava di diventare Adriano Celentano: «Con ventiquattromila baci» cantata a squarciagola, un bambino di sette anni che immagina il palco di Sanremo. Il lavoro (e l’inizio della carriera) è a Segrate, vende aspirapolveri porta a porta per un marchio famoso: aria trasandata, codino, orecchino, eppure le sciure si fidano, gli danno retta, aprono la porta e il portafoglio, Roberto Da Crema scopre una vocazione. Il soprannome, Baffo, arriva dopo un gol rifilato all’Inter da un attaccante del Real Madrid, Carlos Alonso Gonzalez, detto Santillana. «Se segna mi faccio crescere i baffi» scommette Da Crema («nerazzurro fino all’esaurimento nervoso») e Santillana, che castigava i nerazzurri anni ’80 con spietati colpi di testa, non lo fa attendere.
Dopo gli aspirapolvere arrivano l’idromassaggio e le prime televendite alla Telecolor di Cremona, poi i giubbotti (il cameriere di Sandra e Raimondo Vianello ne ordina due, uno per sé e uno da spedire alla moglie nelle Filippine), le pentole, le scale (una consegnata anche a Ezio Greggio), le camicie «Severgnini», marchio sartoriale inventato per far colpo sui napoletani e i duetti con Mike Bongiorno. C’è l’America, Los Angeles, dove gira in limousine e riceve una statuina grazie a una delle sue performance: si infila sottobraccio un piccolo acquario coi pesci e poi ci immerge gli orologi per dimostrare che sono subacquei, il premio per i televenditori è suo. Dopo il carcere, le accuse e lo scandalo c’è di nuovo il pubblico da conquistare: una trasmissione su Odeon, la partecipazione alla Fattoria, l’espulsione per una bestemmia, i programmi alla radio. Per Lucignolo va a cercare George Clooney nella sua villa sul lago di Como: citofona, il cameriere gli apre, l’attore gli regala una rosa. Ci sono sempre le partite, con Alba Parietti e Federica Panicucci a bordo campo, «le donne più clamorose dello spettacolo».

Sempre di corsa, urla e sudore, perché il fiato non manca, ma è dalla prima registrazione che si fa sentire così: «Fingere l’asma, la gente crede all’infarto, si appiccica al televisore». Un trucco, per portare a casa la partita.

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