Non è sempre facile scrivere, anche se il mestiere a volte aiuta, su scrittori, poeti, pittori, è difficile perché occorre spesso entrare in sintonia con l'autore, conoscere a fondo il suo modo di pensare, serve cioè farsi una opinione, oltre che leggerne i libri o guardarne i quadri.
Di Francesco Mariano Marchiò, non sapevo assolutamente nulla fino a quando una mattina dello scorso anno mi fu presentato da un illustre politico genovese, era il dicembre del 2008. E io, da militante convinto, stavo distribuendo sorrisi strette di mano e panettoncini in via Venti. Ecco questo distinto signore, capelli brizzolati, corpo robusto andatura e parlata imponente l'ho conosciuto li. Oggi ne ho letto i libri, e ho visto in questi fogli «spessi» la vita vissuta di un'epoca. Quel periodo d'oro che molte volte hai immaginato, che a volte ti hanno raccontato i tuoi parenti, fatto di sacrifici e gioie minime, ma vere. Scorrere le pagine del suo ultimo lavoro, «La Ragazza del mio caro amico» (Liberodiscrivere edizioni, 250 pagine 26 capitoli 16) è stato quasi un obbligo, mentale, in quanto non c'è mai stato un momento di noia, mai una stanchezza che potesse farmi dire, lo leggo più tardi. È stato uno fluire incessante di interesse continuo e crescente, fino all'ultima riga. Eppure racconta solo di una vita vissuta, anzi di tre fasi di una vita, nello scenario «sceneggiato» di una Riviera ligure di levante che toccando l'Appennino tosco emiliano si protrae senza soluzione di continuità in Versilia. (suoi anche gli oli in copertina). Ogni particolare, anche il più fantasioso, appare come vissuto da ognuno di noi, per la semplicità del racconto, per la schiettezza dei termini per l'assoluta veridicità fotografica dei luoghi. Pare di sentire le campane della chiesa, e il cigolare delle biciclette lungo la strada o il rumore dei lenzuoli lavati dentro il torrente e picchiati sui sassi dalle donne. Un libro che parte dalla fanciullezza di un gruppetto di amici, tra i tedeschi in paesi occupati (ma anche qui in chiave umana, «...ci raccontavano dei loro figli lasciati in Germania...») e prosegue con una adolescenza vissuta negli stenti ma con dignità ed educazione per finire ad un successivo rapporto con il lavoro, la vita pesante e tutto quanto ha contornato i piccoli di allora, oggi uomini attempati e saggi.
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