Vite di clausura oggi tra misticismo e posta elettronica

Espedita Fisher ha intervistato 40 suore girando tra conventi e monasteri di tutta Italia

«La concentrazione era al massimo, la calce del muro al minimo. Scivolo, ma riafferro le sbarre e salto. Salva. Lo spuntone del cancello ha punto meno di Pilar, che non voleva più lasciarsi intervistare». Comincia così, con un salto oltre le sbarre di un monastero e con un’intervista mancata, l’inchiesta di Espedita Fisher, scrittrice e speaker radiofonica, sul mondo della clausura, in libreria da oggi. Un salto fisico e metaforico, il suo. Infatti con l’ausilio di un registratore e con il supporto a tratti mistico delle parole, rompe un silenzio durato cinquant’anni, dal documentario di Sergio Zavoli del ’58. Un lungo giro per monasteri di tutta Italia appartenenti a diversi ordini, per incontrare 40 suore e incalzarle di domande: «Si è mai innamorata? È felice? Perché ha scelto la clausura? Quanti anni ha? Il suo colore preferito? Un sogno nel cassetto? Di che segno è?».
Maria, dell’Ordine della Visitazione di Santa Maria, racconta: «Fino a ventun anni ho lavorato in una fabbrica che si chiamava “Le Bretelle”: produceva mutandine e reggiseni. Quando mia madre venne a saperlo, rimase sconvolta. Credeva si trattasse di bretelle da uomo. Le riproposi allora l’idea di farmi suora. Si oppose, ma papà la convinse dicendo che mi avrebbero rimandata indietro dopo una settimana». Alcune vengono dal Messico, dall’Australia, dalla Romania, dall’Africa. Molte hanno avuto fidanzati e lavori, prima di scegliere il matrimonio con Cristo. C’è chi ha rinunciato a un posto in banca o in un’azienda farmaceutica o in un’impresa discografica. C’è perfino chi, come Giovanna Francesca, ha avuto quattro figli e una carriera politica. Non poche hanno dovuto superare ostacoli, come Carla, novizia benedettina: «Mi laureai in economia e commercio alla Bocconi. Dopo la laurea tornai a vivere in famiglia per un periodo. Fu allora che dissi ai miei genitori di voler entrare in monastero. Mi tennero barricata in casa».
Romina, carmelitana, ha la storia più travagliata: «Le suore di clausura sono donne in fuga? Nel mio caso sì. \ Ho buttato via anni negli eccessi. La notte ero sempre fuori con gli amici di turno, non di rado mi capitava di bere alcolici. A volte prendevo lo scooter e me ne andavo in campagna da sola. Mi mettevo sotto un albero e aspettavo che quel senso di profonda solitudine passasse. Mi sentivo onnipotente, ma allo stesso tempo provavo un senso di umiliazione. Spesso litigavo con la gente. Una volta ho preso a schiaffi il fidanzato di mia sorella perché le urlava contro. Il mio autocontrollo era a zero. Ho provato anche a suicidarmi, ero la mia nemica principale. Mi viene in mente la canzone di Bob Dylan, Like a Rolling Stone: “How does it feel? To be your own. With no direction home. A complete unknown. Like a rolling stone”».
Una monaca cita Nietzsche; di una di 97 anni dicono che alcune notti si svegli cantando Bandiera Rossa. La loro esistenza è scandita da messe, lodi, vespri. È consentito coltivare passioni più terrene e forme di contatto con l’esterno, ma con moderazione. Oltre alla corrispondenza cartacea o via Internet, si leggono i quotidiani, si guarda la tv, si legge, si ascolta o si fa musica. Qualcuna di loro insegna fuori dal convento. Natura e arte sono veicoli di un percorso di ricerca verso «qualcosa di più». Molte parlano senza problemi del loro corpo, della sessualità, della maternità.

La loro stessa bellezza fisica ha un che di soprannaturale agli occhi dell’intervistatrice. La quale, alla fine, decide di rimanere a vivere anche lei, che suora non è, in un convento.
vincenzillo@hotmail.it
Espedita Fisher, Clausura, Castelvecchi (pagg. 260, euro 16).

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