Vite parallele L’Ingegnere è come Silvio (solo che il Cav è vincente)

I giornali della scuderia debenedettiana non hanno mai risparmiato attacchi a Silvio Berlusconi, tempestandolo, da ultimo, con dieci domande sul virtuoso tema di bulli e pupe. La scuderia berlusconiana, che comprende il quotidiano che oggi pubblica questo articolo, è, solitamente, meno ossessiva e tenace, ma trova ora interessante occuparsi di Carlo De Benedetti. Spiacerebbe che il derby, fra il Cavaliere e l’Ingegnere, giocato per la gioia delle rispettive tifoserie, finisca con l’oscurare il senso del campionato. In questa sfida c’è un pezzo rilevante della nostra storia. So di avventurarmi in una duplice bestemmia, ma Berlusconi, in fondo, è un De Benedetti vincente.
All’inizio la sfida non era fra loro due, ma fra De Benedetti ed il capitalismo italiano post bellico, costruito attorno ai patti di sindacato e alla regia di Enrico Cuccia. Un capitalismo con pochi capitali, con Cuccia che difendeva i padroni dalla politica e le aziende dai padroni ladri.
Mentre il giovane Silvio tirava su case e s’illuminava di teleschermo, domandandosi che altro si potesse fare con i cavi di cui erano dotate le abitazioni costruite, il giovane Carlo già giocava in grande, sperando di fregare gli Agnelli. Se ne accorsero e lo mandarono via. Ebbe in cambio dei soldi, che gli servirono a continuare l’avventura, in Olivetti. Fece un gran lavoro, condendolo con visioni accattivanti e scenari suggestivi. Perché De Benedetti è un geniaccio, cinico e intuitivo. Mentre Silvio spendeva per difendere Indro Montanelli, cui il Corriere della Sera sembrava in mano ai comunisti, Carlo aveva ben fiutato il vento e capito che le cose migliori si potevano fare prendendo per mano i compagni del Pci e spiegando loro come si sta al mondo. Repubblica fu la creazione vincente, capace di condizionare la sinistra e allettare quanti, da veri fessi, ci tenevano a far la parte degli intelligenti.
Veniamo ad alcuni fatti, perché grazie alle suggestioni indotte da un plotone di commentatori modello Ikea, che costano poco e ti montano quello che vuoi, s’è diffusa l’impressione che Berlusconi sarà pure bravo, ma, insomma, si fa strada a suon di stecche ed amicizie politiche. Mica come De Benedetti! Davvero?
Geronimo ha ricordato la gara per la prima concessione di telefonia cellulare alternativa a Tim, raccontando che Ciampi consegnò la vittoria a De Benedetti. Vero. I particolari, però, sono interessanti. I concorrenti non erano due, ma tre. C’era un consorzio dove si trovavano Fiat e Fininvest, ma Agnelli ci credeva poco, e, del resto, quando poi gli regalarono Telecom Italia fece come peggio non si poteva, mentre Berlusconi, al momento culminante della gara, si avviava verso Palazzo Chigi. Gareggiava anche Pactel, un operatore di telecomunicazioni, statunitense, attorno al quale si era coagulata una cordata d’imprenditori italiani, con il nome di «Pronto Italia». Forse erano i migliori (il lettore sappia che ero loro consulente), ma privi di padrini politici, e a vincere doveva essere De Benedetti. Uniamoci, propose loro. Pensate che bella gara: un candidato si fa fuori da solo e gli altri due si alleano. Il trionfo della trasparenza.
Nel 1997 il governo Prodi vende il controllo di Telecom Italia, per 11,82 miliardi di euro. Quattro anni dopo una società pubblica, l’Enel, rientra nel settore delle telecomunicazioni, acquistando Infostrada, che offre di pagare 11 miliardi. Abbiamo barattato un grattacielo per un fienile. Infostrada conteneva la rete delle Ferrovie dello Stato che, come Geronimo ha narrato, era stata comprata da Olivetti nel 1977, per 700 miliardi di lire, pagabili in quattordici anni, e rivenduta l’anno successivo, incassando 14mila miliardi di lire, sull’unghia. Lorenzo Necci, allora amministratore delle Ferrovie, raccontò le pressioni politiche subite, da Giuliano Amato e Massimo D’Alema, affinché quella rete non venisse venduta al miglior offerente, ma all’unico autorizzato: De Benedetti.
Se mettete assieme i fatti qui riassunti, aggiungendo quelli che ciascuno ricorda e conosce, converrete che l’idea secondo la quale è in corso, da anni, un conflitto fra buoni e cattivi, onesti e disonesti, ammanicati e liberi, può albergare solo nella testa di gente che è bene cambi spacciatore.
La realtà è che De Benedetti sfidò per primo i salotti, ma Berlusconi li ha vinti. De Benedetti ha voluto contare in politica, Berlusconi l’ha fatta, vincendo. De Benedetti ha voluto la tessera numero uno di un partito, Berlusconi se n’è fatto uno dove conta solo la sua tessera, che manco ritira. De Benedetti voleva essere il più ricco, Berlusconi lo è diventato. De Benedetti voleva avere dalla sua la sinistra, per modernizzarla, Berlusconi ebbe dalla sua quella di Craxi, perché già moderna. Il tutto mentre i regnanti di un tempo si ritrovano a litigare in famiglia, contando poco in azienda e rinfacciandosi vari reati societari e fiscali.

E, per favore, non si dica che queste cose si trovano qui scritte perché il papiro è berlusconiano, anzi, dovrebbero essere scritte, a caratteri cubitali, propri sui fogli della sinistra, in modo da porre le premesse della vittoria, non quelle del ridicolo.
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