nostro inviato a Rivoli
Vito era tifosissimo della Juve, ma una partita insieme ad Alessandro non l’aveva mai vista. Per la sfida con l’Inter invece si stavano organizzando: «L’idea racconta adesso l’amico era quella di raggiungere un bar del centro per il match». Alessandro frequenta la quarta L, Vito era in quarta G, tutti i giorni i due erano un magma di confidenze reciproche e suggerimenti. Anche ieri mattina: «Ci siamo incontrati in corridoio durante l’intervallo. Gli ho accennato alla partita e lui mi ha detto ok. Volevamo andare in un locale di Torino e goderci l’incontro, Vito mi ha salutato dandomi appuntamento all’uscita. Invece dieci minuti dopo, appena finito l’intervallo, è morto». E così, dimenticati Del Piero e soci, Alessandro entra in pellegrinaggio in un negozio di abbigliamento: «Metterò nella cassa una maglia col mio nome perché si ricordi di me, io mi terrò i nostri momenti di felicità».
Due anni normali, come lo sono quelli dei diciassettenni di oggi. «Ci siamo conosciuti in seconda, nella gita a Monaco: Vito era un ragazzo riservato, introverso, ma quando si apriva dava tutto, senza riserve. E poi gli piaceva scherzare, se una ragazza gli andava a genio glielo diceva senza tanti giri di parole».
Timido e insieme sicuro di sé, come un adolescente. Proiettato verso il futuro, come tutti i giovani a quell’età, ma ancora sotto l’ala vigile della famiglia. Un impasto di rigore e spensieratezza: «Arrivava puntuale, puntualissimo agli allenamenti il martedì e il giovedì alle 19 e alle 21 ancora più puntuale se ne tornava a casa racconta Nunzio Corso, dirigente della Bvs Avigliana anzi, ad essere precisi, era la madre ad accompagnarlo. La famiglia di Vito abita a quindici, venti chilometri di distanza, a Pianezza, e quindi la signora si sacrificava portandolo in auto. Poi andava al bar ad aspettarlo. D’altra parte lui ci teneva al calcio, lei voleva che facesse sport. Così, chiusa l’esperienza nella squadra precedente, la Lascaris, lui era venuto da noi a settembre e si era applicato con costanza. I frutti sospira Corso dovevano ancora arrivare. Domenica scorsa, per esempio, era rimasto in campo per venticinque minuti. Lo mettevo a centrocampo, sul lato destro, o dietro le punte».
Vito faceva la sua gavetta calcistica. Intanto studiava, anche se non aveva ancora chiarito cosa fare dopo il liceo, e si divertiva. Il ballo, le gite scolastiche, con l’inevitabile coda di goliardate, flirt, fuoriprogramma. E, su tutto, il pallone: «Era un tipo tranquillo spiega Alessio si era inserito abbastanza bene nella squadra. E s’impegnava».
Scommetteva sulla Juve, aspettava con ansia la prossima gita scolastica, in calendario a marzo, con destinazione Barcellona. E qualche volta andava in discoteca. «La sera di Halloween riprende Alessandro siamo stati al PalaIsozaki. Il posto gli sembrava carino, abbiamo ballato musica house». Una serata normalissima. Come la vita da internauta. Dialogava via messenger, come tanti suoi coetanei, e parlava di sé su quel grande specchio della gioventù che oggi è Internet. Si firmava Vito ’91, si descriveva con un filo di orgoglio: «Sono biondo, ho gli occhi azzurri, mi piace stare in compagnia». E a dispetto del tragico finale aveva scritto una frase incisa nell’ottimismo e nella voglia di libertà: «Vivo dovunque». Alla rete affidava gusti e confidenze, quelli che le altre generazioni consegnavano al diario: era un fan di Harry Potter, aveva visto col cuore in gola tutti i film della saga di Rocky, cantava le canzoni di Vasco Rossi, si accendeva per la musica pop ed elettronica. Ma quando gli chiedevano della fidanzata si chiudeva di nuovo: «Non voglio risponderti». Un ragazzino che correva verso l’età adulta con tutta l’allegria dei suoi diciassette anni, compiuti il 2 ottobre scorso. La mamma lo scortava al campo di Avigliana; a scuola, invece, andava in pullman.
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