Politica

Vittoria a metà, Pomigliano appesa a un filo

«L’accordo che abbiamo firmato con la Fiat per noi è valido. Nel referendum il 62,2% dei lavoratori di Pomigliano ha detto sì alla Panda. La Fiat, quindi, deve procedere»: Roberto Di Maulo, segretario della Fismic, ha ripreso solo in serata un po’ di ottimismo. Ieri mattina, confermato l’esito non plebiscitario del voto in direzione del sì, il sindacalista non vedeva vie d’uscita: «È indubbio che Fiat annuncerà l’inevitabile, cioè la rinuncia all’investimento in Italia. Saranno felici in Polonia. Conosco bene le reazioni dell’animale ferito: reagisce in maniera spropositata». Il comunicato del Lingotto, seppur scarno e fumoso, quindi aperto a più interpretazioni, ha però ridato benzina a Di Maulo e ai suoi colleghi. «Alla Fiom - precisa subito il capo della Fismic - forse si sono dimenticati che il loro statuto ha come vincolante il referendum nei casi di accordo aziendale. Ebbene, proprio loro stanno ora derogando dallo statuto».
In un certo senso la nota della Fiat ha fatto un piccolo miracolo, dopo che per tutta la mattinata si era parlato di un Marchionne infuriato (senz’altro felice non è) e sul punto di mandare tutti al diavolo. La percentuale dei sì più bassa delle attese rende comunque la praticabilità dei piani della Fiat più complesse. Significa che su oltre 5mila dipendenti, più di 1.500 (quelli che hanno segnato no sulla scheda), potranno sempre creare dei problemi. Per questo la Fiat ha messo in piedi una task force di avvocati e super consulenti che dovrà studiare le contromisure necessarie. Il verdetto di questa task force (tentare l’operazione Panda si può, meglio rinunciare e pensare ad altre soluzioni) sarà determinante per il futuro di Pomigliano. La situazione, dunque, resta fluida e si muove sul filo dell’equilibrio.
La Fiat ha risposto ai risultati della consultazione prendendo atto della «impossibilità» di andare avanti con chi è «pretestuoso», la Fiom, che ha respinto documento e voto, assicurando però che lavorerà con le altre organizzazioni sindacali che collaborano, per la realizzazione di «progetti futuri». Progetti futuri che non menzionano più esplicitamente la produzione dell’utilitaria da trasferire dalla Polonia in Italia. Almeno nell’ultima dichiarazione resa dal Lingotto. Da qui l’ipotesi che il piano possa essere ritoccato, magari puntando su una vettura diversa (ieri circolava il nome della Fiat Linea, berlina che attualmente viene prodotta per i mercati emergenti) o realizzando una nuova società, ipotesi che piace alla Fismic.
Resta da vedere quanto tempo Marchionne ha intenzione di concedere al secondo round delle trattative. Di settimane, se non mesi, il top manager ne ha già perse parecchie, tanto che l’avvio della produzione della Panda a Pomigliano era stato riscadenzato alla fine del 2011. Più in là, però, la Fiat non può andare. Quello della Panda è un mercato di riferimento molto importante e altrettanto redditizio per il gruppo. Ritardare ulteriormente il nuovo modello significherebbe favorire la concorrenza, molto agguerrita in questo segmento, e perdere quote di mercato nel momento in cui il settore sta cercando di ritrovare la bussola dopo la scorpacciata di incentivi. Il comunicato volutamente criptico della Fiat lascia comunque intendere che al vaglio di Marchionne ci sono diverse ipotesi. Prima di mettere in atto una di queste, sindacati, azienda e governo dovranno però studiare una exit strategy dall’impasse derivata dall’inaspettato, e per certi versi coraggioso, alto numero di no. Tra le ipotesi allo studio, oltre a quella (auspicata dal fronte del sì) che prevede il mantenimento del progetto nuova Panda a Pomigliano, magari attraverso la creazione di una nuova società 100% Fiat a cui far affluire tutte le attività dello stabilimento, ce ne sarebbero altre, tra cui quella che porterebbe a un progressivo declassamento del sito campano. La mancata saturazione dell’impianto, causata dalla retrocessione in serie B della fabbrica, porterebbe gradualmente a una serie di esuberi. E per Pomigliano la sorte sarebbe quella di Arese. «Basterebbe - conclude Di Maulo - che nelle discussioni che si apriranno nei prossimi giorni si lavorasse tutti con il cesello sul problema dell’assenteismo anomalo». Marchionne, intanto, è giunto negli Stati Uniti e starà raccontando ai sindacalisti Chrysler le varie puntate della sceneggiata napoletana.

Ci prenderanno per matti.

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